NONCICLOPEDIA DENUNCIATA PER OFFESE ALLA RELIGIONE
COMUNICATO STAMPA
I Giuristi per la Vita e l’associazione Pro Vita Onlus (editrice della rivista Notizie Pro Vita) hanno presentato una denuncia-querela alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma contro il sito web “NONCICLOPEDIA”, -- enciclopedia online in lingua italiana nata il 3 novembre 2005 come versione satirica di Wikipedia, di cui condivide la medesima struttura (server e software MediaWiki), -- per alcune inqualificabili espressioni contenute nello stesso sito, le quali, travalicando il limite di un livello di volgarità oscena e sacrilega difficilmente concepibile, integrano il reato di offesa ad una confessione religiosa mediante vilipendio di persone, previsto e punto dall’art.403 del Codice Penale.
Ci asteniamo dal riprodurre in questo comunicato stampa le frasi incriminate, limitandoci a riferire che viene fatta risalire alla Madonna l’“invenzione” della pratica erotica della fellatio, mentre Gesù Cristo, visitato nel Santo Sepolcro da Maria Maddalena, viene dileggiato con l'attribuzione di un'erezione sessuale.
IL PRESIDENTE
(Avv. Gianfranco Amato)
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(ATTENZIONE: contenuti sessuali espliciti)
ADOZIONE AD UNA COPPIA DI LESBICHE: LA SENTENZA DEL TRIBUNALE DEI MINORI DI ROMA HA VIOLATO LA LEGGE
COMUNICATO STAMPA 26-2014
La sentenza del Tribunale dei Minori di Roma n.299 del 30 agosto 2014 che ha autorizzato la prima adozione ad una coppia di lesbiche segna il passaggio, pericolosamente eversivo, dalla “giurisprudenza creativa” alla “giurisprudenza contra legem”.
Qui non si tratta più di supplire l’asserita inerzia del legislatore, ma di violare espresse e tassative disposizioni di legge.
Nel caso di specie, infatti, i giudici romani hanno infranto la norma chiara e inequivoca dell’art. 44 della legge sull'adozione del 4 maggio 1983, n. 184, come modificata dalla legge 149 del 2001, il quale , il quale stabilisce le eccezioni alla regola secondo cui i bambini possono essere adottati solo da un uomo e da una donna uniti in matrimonio.
Il Tribunale dei minorenni ha volutamente ignorato – e quindi violato – la disposizione del citato art. 44 nel punto in cui prevede che la richiesta di adozione possa venire anche da persona non coniugata che è legata al minore da «preesistente rapporto stabile e duraturo», solo quando il minore è orfano sia di padre che di madre, circostanza che nel caso di specie non ricorre (quantomeno per la madre).
LA RESPONSABILITÀ CIVILE DEI GIUDICI È UN'URGENZA
Che la nostra non sia più una repubblica parlamentare ma una repubblica giudiziaria è un dato di fatto scontato. Da tempo ormai, grazie alla cosiddetta “giurisprudenza creativa”, l’ordinamento giuridico italiano conosce la nuova figura del giudice-legislatore.
La ragione posta a fondamento di questa invasione di campo è sempre stata la presunta inerzia del legislatore. Nell’immaginario collettivo è stata indotta l’idea di una solerte magistratura costretta – suo malgrado – ad esorbitare i propri poteri per supplire alla politica fannullona. Questo, però, fino all’altro ieri. Con la sentenza del Tribunale dei Minori di Roma n.299 del 30 agosto 2014 che ha autorizzato la prima adozione ad una coppia di lesbiche, infatti, la magistratura ha varcato il Rubicone. Il salto qualitativo sta nella differenza tra “creare” e “violare”. Sì, perché come è stato ben illustrato in questo giornale dagli ottimi interventi di Tommaso Scandroglio e Alfredo Mantovano, nel caso in questione una norma chiara e inequivoca esiste ed è l’art. 44 della legge sull'adozione del 4 maggio 1983, n. 184, come modificata dalla legge 149 del 2001, il quale non consente l’iniziativa assunta dai magistrati romani. In questo caso, infatti, i giudici non hanno tenuto conto della circostanza che il minore non fosse orfano né di madre né (a quanto pare) di padre, ed hanno allegramente disatteso la disposizione sull’affidamento preadottivo prevista dalla lettera d) del citato art.44. Con buona pace degli interessi dello stesso minore sacrificati, ancora una volta, ai desideri degli adulti.
LEGGE OMOFOBIA, LE BUGIE DI SCALFAROTTO
In un’intervista pubblicata sul quotidiano online Giornalettismo all’on. Ivan Scalfarotto è stata posta questa domanda: «Chi esprime un’idea contraria al matrimonio omosessuale o alle unioni civili, rischia la galera?». Questa la risposta dell’ineffabile Sottosegretario ai rapporti con il parlamento: «Assolutamente no. E per due motivi fondamentali. Il primo è che qui stiamo parlando dell’estensione della legge Reale-Mancino, che non ha mai colpito le opinioni. Poi c’è la costituzione che protegge la libertà di pensiero eppure, non contenti di questo, ci abbiamo messo l’emendamento Verini che esplicitamente fa salve le opinioni».
Con un’unica risposta Scalfarotto è riuscito a dire due cose non vere. Analizziamole entrambi partendo da quella relativa alle conseguenze della Legge Mancino. Evidentemente i numerosi impegni politici del deputato PD (compresa la sua candidatura alla leadership nazionale del centrosinistra alle elezioni primarie de L'Unione del 2005) lo hanno tenuto lontano dalla cronaca giudiziaria. Basta ricordarne due tra i numerosi casi di applicazione della Legge Mancino, per far capire all’attuale Sottosegretario ai Rapporti con il Parlamento, qual è l’orientamento giurisprudenziale della Corte di Cassazione sul tema.
Cominciamo dal primo. Nel 2001 l’attuale sindaco di Verona Flavio Tosi - insieme alla moglie Barbara e ai compagni di partito Matteo Bragantini, Enrico Corsi e Maurizio Filippi – viene rinviato a giudizio su accusa del procuratore Guido Papalia per aver violato proprio la legge Mancino, partecipando attivamente alla campagna di protesta, organizzata dalla Lega Nord di Verona contro un campo nomadi abusivo intitolata “No ai campi nomadi. Firma anche tu per mandare via gli zingari dalla nostra città”. Nel 2005 tutti gli imputati vengono condannati a sei mesi di reclusione e a tre anni di interdizione dai pubblici uffici, con la motivazione che gli stessi imputati hanno «diffuso idee fondate sulla superiorità e sull'odio razziale ed etnico e incitato i pubblici amministratori competenti a commettere atti di discriminazione per motivi razziali ed etnici e conseguentemente creato un concreto turbamento alla coesistenza pacifica dei vari gruppi etnici nel contesto sociale al quale il messaggio era indirizzato».
MARCO COBIANCHI SU SIMONCINI SI È CERTAMENTE SBAGLIATO
di Gianfranco Amato
Marco Cobianchi su “Italia Oggi” riferisce di un intervento udito mentre vagava tra le gremite sale del Meeting ciellino di Rimini. La voce era quella del Prof. Andrea Simoncini, docente di diritto costituzionale a Firenze, mentre le parole che hanno colpito Cobianchi sono state le seguenti: «Il vero tradimento di Giuda non è stato quello di consegnare Gesù ai gendarmi, ma quello di non aver voluto credere ai suoi occhi, e cioè che Gesù faceva i miracoli. Quindi il suo primo tradimento è verso la realtà, non verso Gesù». Giacché il tema trattato era quello relativo ai «nuovi diritti», Cobianchi se chiesto cosa c’entrasse l’uscita di Simoncini sul tradimento della realtà, e si è dato questa risposta: «Secondo me c'entra, perché non si può negare che la realtà sia diversa da come anche i ciellini vorrebbero che fosse. Come noi tutti vorremmo che fosse. Se non si riconosce che la realtà è diversa, si tradisce. Se si vuole imporre ciò che si ha in testa a ciò che si ha di fronte agli occhi, allora si diventa violenti. E’, invece, ciò che si ha di fronte agli occhi, che si impone a ciò che hai nella testa sennò, oltre che traditore, sei pure un pirla». Secondo Cobianchi, quindi, Simoncini sarebbe un cinico positivista che riconosce ai giuristi il solo compito di regolare gli effetti di una realtà che si autodetermina e si impone oggettivamente, risultando “ideologico” ogni tentativo di modificarla, o di impedirne l’avveramento, in quanto tale tentativo si risolverebbe nell’arbitraria e violenta imposizione di una particolare Weltanschauung non condivisa dalla totalità dei soggetti di diritto. Non possiamo credere che Simoncini abbia in testa un simile pensiero, e Cobianchi si è certamente sbagliato.
L’ALLEGRA E SEMPLIFICATORIA GIURISPRUDENZA DELLA CONSULTA, CHE NON VUOL VEDERE LA VORAGINE NORMATIVA
di Gianfranco Amato
Afronte del dubbio insorto circa l’esistenza di un vuoto normativo innescato dalla sentenza della Consulta dello scorso aprile con cui si è aperta la possibilità di attuare la fecondazione eterologa, il presidente della Corte, Tesauro, ha affermato che “i centri di fecondazione assistita autorizzati possono praticare già ora l’eterologa, purché rispettino tutti quei paletti che la legge 40 ha fissato per la procreazione medicalmente assistita in generale e tutti i meccanismi di controllo pubblico previsti e magari talvolta insufficienti”, peraltro ammettendo che esiste un “punto di un certo rilievo” da regolamentare, quello del numero delle possibili donazioni di gameti.
Conclusione a dir poco semplificatoria. Sul piano storico, lo si deve riconoscere, la Corte si è espressa in termini categorici nel ritenere che la declaratoria di incostituzionalità non apre un vuoto normativo con riguardo al requisito dei profili soggettivi per accedere all’eterologa (coppia di persone di sesso diverso, ecc.), e ha in tal senso richiamato il vigente art. 5 della legge 40. Ma non altrettanta sicurezza ha dimostrato nel ritenere che non si aprano vuoti normativi sotto il profilo oggettivo. La stessa ammissione di Tesauro con riguardo al “punto di un certo rilievo” privo di regolamentazione, suffraga d’altronde questa lettura.
Spostiamo l’attenzione sul merito. La legge 40 è nata come disciplina improntata al radicale divieto di praticare la fecondazione eterologa, e cioè attuata con gameti estranei alla coppia; come disciplina improntata ad un’intrinseca e totale trasparenza, non essendo immaginabile, per ragioni connaturali alla fecondazione autologa stessa, l’anonimato; come disciplina caratterizzata da limiti procreativi evidenti, che coincidono con i limiti stessi che una coppia ha di mettere al mondo un numero (comunque) modesto di figli. L’eterologa al contrario sovverte, o è comunque idonea a sovvertire, in misura parziale o totale, tutti – nessuno escluso – i principi or ora sinteticamente esposti. Ne consegue che una pronunzia con cui ci si limita a scardinare un (non banale) impianto giuridico, introducendo al suo interno il contrario di ciò che quell’impianto prevedeva come essenziale, rende fisiologico il crearsi di un conflitto fra il sistema originario e la radicale negazione dello stesso.
PRESENTATO ESPOSTO-DENUNCIA CONTRO UN'OPERA DI JAKE E DINO CHAPMAN ESPOSTA AL MAXXI DI ROMA
COMUNICATO STAMPA
I Giuristi per la Vita e l’associazione Pro Vita Onlus (editrice della rivista Notizie Pro Vita) hanno inoltrato un esposto-denuncia alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma contro un’asserita “opera d’arte” esposta al MAXXI, Museo delle arti del XXI secolo, di Roma, firmata da Jake e Dino Chapman, artisti noti per la loro dedizione a rappresentare figure adolescenziali alle prese con organi genitali maschili ed altre visioni pedopornografiche.
L’opera denunciata, in particolare, è quella intitolata “Piggyback”, avente per oggetto l’immagine di due bambine, una delle quali adagiata sulle spalle dell’altra dalla cui bocca fuoriesce un membro maschile.
L’esposto-denuncia è stato inoltrato per conoscenza anche alla Procura della Repubblica presso il Tribunale dei Minori di Roma, alla Questura di Roma, all’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza, e al Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e Turismo.
IL PRESIDENTE DEI GIURISTI PER LA VITA
(Avv. Gianfranco Amato)
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COMUNICATO DEL CONSIGLIO DIRETTIVO DELL'ASS.NE GIURISTI PER LA VITA
COMUNICATO STAMPA
A seguito di inopinate comunicazioni circolate sulla Rete da parte di alcuni soci, il Consiglio Direttivo dei Giuristi per la Vita rende noto che l’iniziativa di un esposto collettivo al Consiglio dei Giornalisti del Lazio contro Eugenio Scalfari rientra pienamente nell’alveo delle azioni intraprese dall’associazione, così come le denunce alla Procura della Repubblica di Roma contro la RAI, per il video blasfemo sul matrimonio gay, e contro il fotografo Oliviero Toscani per le affermazioni offensive rivolte ai Romani Pontefici, compreso l’attuale Santo Padre.
Il Consiglio Direttivo valuterà, anche ai fini disciplinari, il comportamento dei soci che hanno pubblicamente sconfessato, attraverso comunicazioni esterne, l’operato dei Giuristi per la Vita.
IL PRESIDENTE
(Avv. Gianfranco Amato)
FECONDAZIONE ETEROLOGA: "GIURISTI PER LA VITA" E "PRO VITA ONLUS" PREANNUNCIANO RICORSO AL TAR CONTRO DELIBERA DELLA REGIONE TOSCANA
COMUNICATO STAMPA
I Giuristi per la Vita e l’associazione Pro Vita Onlus (editrice della rivista Notizie Pro Vita) denunciano pubblicamente quanto sta accadendo in Toscana, come il prologo di un pericolosissimo caos che potrebbe investire migliaia di coppie alla ricerca di un figlio procreato con la fecondazione artificiale eterologa.
La scelta della Regione Toscana di pubblicare sul Bollettino Ufficiale la delibera che consente l’accesso alla fecondazione eterologa nei centri di procreazione medicalmente assistita toscani, nonostante la dichiarazione di illegittimità da parte dell’ufficio legale del medesimo Ente, crea una situazione di imbarazzo e soprattutto, di grave pericolo.
Per questi motivi i Giuristi per la Vita e l’associazione Pro Vita Onlus comunicano l’intenzione di impugnare dinanzi al T.A.R. la summenzionata delibera nei prossimi giorni perché, come emerge dalle dichiarazioni rese dagli stessi legali della Regione e infine anche da esponenti politici toscani, solo una disposizione normativa emanata dal Governo nazionale può definire tutti i requisiti di sicurezza per il procedimento di procreazione medicalmente assistita di natura eterologa.
IL PRESIDENTE
DEI GIURISTI PER LA VITA
(Avv. Gianfranco Amato)
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DECRETO ZINGARETTI, UN ASSALTO ALLA LIBERTÀ DEI MEDICI
L’obiezione di coscienza in tema di interruzione volontaria della gravidanza continua a rappresentare la vera bête noire della potente lobby abortista. Gli attacchi giungono da tutti i livelli anche in Italia. Ne è un caso il decreto emanato dal Presidente della regione Lazio, Nicola Zingaretti, nella sua qualità di Commissario ad acta per la sanità della medesima regione. Già il titolo di quel provvedimento manifesta il consueto velo di pelosa ipocrisia che usualmente ammanta gli atti giuridici in tema di aborto. Basta leggere: «Rete per la Salute della Donna, della Coppia e del Bambino: ridefinizione e riordino delle funzioni e delle attività dei Consultori Familiari regionali». Il grado di ipocrisia non è molto dissimile dall’incipit del titolo della stessa legge 194/78, quella che regola la procedura di aborto in Italia: «Legge per la tutela sociale della maternità (…)».
Del resto, il fenomeno è conosciuto nella storia dell’umanità: si autorizzano i crimini senza avere il coraggio di chiamarli per nome. Cosa dice, comunque, il decreto Zingaretti è presto detto. Si stabilisce che il personale obiettore operante nei consultori familiari, pur non essendo coinvolto materialmente nella pratica dell’aborto, è in ogni caso obbligato a partecipare alla redazione delle certificazioni e delle autorizzazioni che la precedono. Già questa disposizione contrasta palesemente l’art. 9 della stessa Legge 194, il quale stabilisce che «il personale sanitario non è tenuto a prendere parte alle procedure di cui agli articoli 5 e 7 (dove per l’appunto si disciplina il processo di certificazione e autorizzazione che precede l’aborto stesso) e agli interventi per l’interruzione della gravidanza, qualora sollevi obiezione di coscienza». Inoltre, lo stesso decreto Zingaretti prevede che il personale medico obiettore dei consultori sia tenuto alla prescrizione di “contraccettivi” ormonali, anche post-coitali (leggi: varie pillole abortive) e all’applicazione di sistemi meccanici, quali la spirale anch’essa abortiva. Anche in questo caso il contrasto con il citato art. 9 appare eclatante. A tutto ciò aggiungiamo che gli ultimi dati ufficiali a disposizione ci mostrano una situazione di fatto che contrasta con l’asserita esigenza di affrontare il problema di un eccessivo numero di medici obiettori. Nella regione Lazio, infatti, il ritmo di lavoro è pari a quattro aborti a settimana, considerando quarantaquattro settimane lavorative, per ciascun medico non obiettore. Si tratta, quindi, di un fenomeno assolutamente limitato. In più si può aggiungere che in caso vi fosse davvero un’esigenza – cosa che non corrisponde all’attuale realtà – nulla vieterebbe ai responsabili delle strutture sanitarie di ricorrere all’istituto della mobilità. Il regime normati della Legge 194, infatti, lo consentirebbe.
RICORSO AL TAR CONTRO IL DECRETO DELLA REGIONE LAZIO CHE LIMITA L'ESERCIZIO DEL DIRITTO ALL'OBIEZIONE DI COSCIENZA
COMUNICATO STAMPA
I Giuristi per la Vita e l’associazione Pro Vita Onlus (editrice della rivista Notizie Pro Vita) hanno impugnato dinanzi al T.A.R. Lazio il decreto del Presidente della Regione Lazio, emesso in qualità di Commissario ad acta, n. U00152/2014 del 12 maggio 2014, pubblicato sul B.U.R. il 22 maggio 2014, nella parte relativa alle “Linee di indirizzo regionali per le attività dei Consultori familiari” (allegato 1), in cui si dispone quanto segue: «In merito all'esercizio dell'obiezione di coscienza fra i medici ginecologi (...) si ribadisce come questa riguardi l'attività degli operatori impegnati esclusivamente nel
trattamento dell'interruzione volontaria di gravidanza, di seguito denominata IVG. Al riguardo, si sottolinea che il personale operante nel Consultorio Familiare non è coinvolto direttamente nella effettuazione di tale pratica, bensì solo in attività di attestazione dello stato di gravidanza e certificazione attestante la richiesta inoltrata dalla donna di effettuare IVG. Per analogo motivo, il personale operante nel Consultorio è tenuto alla prescrizione di contraccettivi ormonali, sia routinaria che in fase post-coitale, nonché all'applicazione di sistemi contraccettivi meccanici, vedi I.U.D. (lntra Uterine Devices)».
Tra le varie violazioni di legge contestate nel ricorso vi sono quelle dell’art. 18 della Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo; dell’art. 9 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo; dell’art. 10 e 52 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea; degli artt. 2, 3, 19, 21, 32, 33, 41 della Costituzione italiana; degli artt. 1, 2, 3 e 52 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea; degli artt. 1, 13 e 14 della legge 24 febbraio 2004, n. 40; dell’art. 2 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali; degli artt. 1, 4, 5, 8, 12 e 14 della legge 22 maggio 1978, n. 194; degli artt. 2, 4, 13, 22 e 68 del codice deontologico del medico.
Allo stesso Tribunale Amministrativo Regionale è stata presentata istanza cautelare di sospensione del provvedimento impugnato.
IL PRESIDENTE DEI GIURISTI PER LA VITA
(Avv. Gianfranco Amato)
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DENUNCIATO OLIVIERO TOSCANI PER LE OFFESE CHE HA PRONUNCIATO CONTRO LA CHIESA E LA RELIGIONE CATTOLICA
COMUNICATO STAMPA
I Giuristi per la Vita e l’associazione Pro Vita Onlus hanno presentato una denuncia-querela contro il noto fotografo Oliviero Toscani per il reato di offesa ad una confessione religiosa mediante vilipendio di persone, previsto e punto dall’art.403 del Codice Penale, ed il reato di offesa ad una confessione religiosa mediante vilipendio di cose, previsto e punito dall’art.404 del Codice Penale.
Definire, infatti, la Chiesa un «club sadomaso», «la più grande invenzione omosessuale che sia mai esistita, i cui appartenenti si vestono da donna», l’attuale Sommo Pontefice un «vecchio banale», e San Giovanni Paolo II un «assassino», significa, peraltro, voler offendere deliberatamente il sentimento religioso di milioni di fedeli. Per non parlare delle espressioni ingiuriose nei confronti del crocefisso, delle statue di santi e degli angeli negli altari definiti «bambini nudi che volano», con riferimento ad un particolare “gusto” sessuale (allusione neppure molto velata alla pedofilia).
Queste, in particolare, le inqualificabili espressioni usate dal fotografo:
(a) «Pensate di essere un extraterrestre che atterra in Italia ed entra in una chiesa cattolica. Vedi uno attaccato e inchiodato alla croce, un altare con dei bambini nudi che volano. Lui non sa che sono angeli. Poi vedi quell’altro sanguinante, ce n’è di tutti i gusti. Io credo che un club sadomaso non sia così all’avanguardia. La Chiesa sembra un club sadomaso. Anch’io mi sento offeso da questa iconografia cattolica»;
(b) «La Chiesa è la più grande invenzione omosessuale che sia mai esistita, i cui appartenenti si vestono da donna. Vorrei sapere se esiste qualcuno che da bambino non abbia mai subito molestie da un prete»;
(c) «Papa Bergoglio parla come mio nonno 60 anni fa e non gli dava retta nessuno. Dice delle banalità e delle cose così normali che viene da pensare: ma in questi anni che cazzo ci hanno detto questi papi? E poi fanno santo Wojtyla che era contro il preservativo in Africa. Ha fatto dei disastri, un assassino. Uno che dice in un posto dove c’è l’Aids di non usare il preservativo».
Oggi sembriamo assistere ad una preoccupante deriva cristianofobica non solo a migliaia di chilometri di distanza dal nostro Paese. L’odioso fenomeno della persecuzione dei cristiani non riguarda – purtroppo – solo la tragedia che si è abbattuta sulla comunità irachena di Mosul. In modi e forme diverse è presente anche nei Paesi del cosiddetto mondo occidentale che ama definirsi civilizzato. Anche in Italia cominciano a profilarsi i primi inquietanti segni di un inspiegabile odio anticristiano. Basta citare l’atto sacrilego compiuto al Concerto del Primo maggio dell’anno scorso, il video sul matrimonio gay tra Gesù e San Pietro andato in onda su RAI 2, le velenosissime polemiche contro le scuole d’ispirazione cattolica seguite al caso artatamente montato dell’Istituto del Sacro Cuore di Trento, e, da ultimo, le farneticanti esternazioni radiofoniche dell’ineffabile fotografo Oliviero Toscani. Tutto questo odio gratuito rischia di alimentare nell’opinione pubblica un clima davvero pesante. Ecco perché i cristiani non possono tacere, subire supinamente, restare passivi e inerti di fronte a questa preoccupante escalation
IL PRESIDENTE
Avv. Gianfranco Amato
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SOLIDARIETA' ALL'ISTITUTO SACRO CUORE DI TRENTO
COMUNICATO STAMPA
I Giuristi per la Vita, l’associazione ProVita Onlus, Nuovi Orizzonti ed il MEVD - Movimento Europeo per la Difesa della Vita e della Dignità Umana, esprimono la propria posizione a riguardo dell’incresciosa vicenda che ha coinvolto l’Istituto Sacro Cuore di Trento.
Com’è noto, infatti, una virulenta campagna mediatica diffamatoria – ormai giunta a livello nazionale – ha insinuato che i responsabili della scuola paritaria trentina avessero licenziato una giovane insegnante a causa del suo orientamento sessuale.
La FLC CGIL di Trento ha parlato di «ennesimo episodio di discriminazione e di violazione della dignità delle persone in Istituti paritari che colpisce tutto il mondo della scuola», chiedendo la «revoca del licenziamento e il ripristino dei diritti civili e sociali», e minacciando non solo «iniziative legali» ma anche «la richiesta di revocare i finanziamenti pubblici». Il Ministro dell’Istruzione in un comunicato ufficiale diramato il 20 luglio scorso ha dichiarato che interverrà sulla vicenda dell’Istituto del Sacro Cuore di Trento«con la dovuta severità».
I “Comitati per l’altra Europa con Tsipras” hanno formalmente chiesto al presidente della Provincia, Ugo Rossi, che ha delega all’istruzione, «un intervento di pubbliche scuse alla docente discriminata», e insieme al partito “Sinistra Ecologia e Libertà”, hanno colto l’occasione per invocare un’accelerazione dell’iter parlamentare del disegno di legge Scalfarotto contro l’omofobia, e l’introduzione della propaganda gender nelle scuole. Tutto ciò, mentre le associazioni omosessualiste Arcilesbica, Agedo, Equality Italia e Famiglie Arcobaleno continuano un intollerabile e vergognoso linciaggio morale nei confronti del responsabile dell’istituto, Madre Eugenia Libratore.
L’inutile polemica si potrebbe tranquillamente chiudere precisando che nel caso in questione non si è trattato di alcun licenziamento, in quanto il contratto a tempo determinato con l’insegnante è cessato in data 30 giugno 2014, contratto nel quale, peraltro, la stessa docente aveva dichiarato di «essere consapevole dell’indirizzo educativo e del carattere cattolico dell’istituzione e di collaborare alla realizzazione di detto indirizzo educativo».
Peraltro, quand'anche si fosse trattato di licenziamento, il comportamento tenuto dall’Istituto deve comunque considerarsi pienamente legittimo, laddove si consideri il principio sancito dalla Corte Costituzionale con la sentenza 29 dicembre 1972, n. 195, e ribadito nel 2011 da una pronuncia della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, secondo cui una struttura scolastica paritaria ha diritto di «scegliere i propri docenti in base a una valutazione della loro personalità», e di «recedere dal rapporto di lavoro ove gli indirizzi religiosi o ideologici del docente siano divenuti contrastanti con quelli che caratterizzano la scuola».
Si ha l'impressione, in realtà, che questo caso sia stato artatamente montato con il solo ed unico fine di consentire al Sottosegretario on. Ivan Scalfarotto il rilascio al quotidiano "L'Adige" della seguente dichiarazione: «in presenza di una legge, la direttrice della scuola avrebbe forse avuto maggiore contezza della gravità del suo comportamento». A buon intenditor poche parole!
I Giuristi per la Vita, ProVita Onlus, Nuovi Orizzonti ed il MEVD colgono l’occasione per evidenziare:
- il principio sancito dall’art. 26, terzo comma, della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, il quale testualmente prevede che «i genitori hanno diritto di priorità nella scelta di istruzione da impartire ai loro figli»;
- l’evidente strumentalità della risibile richiesta avanzata dal segretario generale della FLC CGIL, Mimmo Pantaleo, di revoca del contributo pubblico erogato dalla Provincia di Trento all’Istituto Sacro Cuore, in quanto tale contributo, essenziale per la stessa sopravvivenza dell’Istituto, non può far venir meno i summenzionati principi di autonomia, né determinare un’indebita ingerenza della pubblica amministrazione nella gestione della scuola, o un’imposizione di scelte incompatibili con l’ispirazione religiosa che connota l’Istituto medesimo.
I Giuristi per la Vita, ProVita Onlus, Nuovi Orizzonti ed il MEVD esprimono la propria sincera e piena solidarietà a Madre Eugenia Libratore e a tutto l’Istituto Sacro Cuore di Trento, auspicando che il Ministro Giannini sappia valutare questo caso in modo imparziale, senza lasciarsi trasportare da indebite pressioni ideologiche, e chiedono al Presidente della Provincia di Trento, Ugo Rossi, di denunciare senza indugi i metodi intimidatori, diffamatori, e intolleranti di tutti coloro che tentano operazioni di bassa speculazione demagogica, travisando i fatti di questa vicenda in maniera vergognosamente strumentale.
GIURISTI PER LA VITA Il Presidente (avv. Gianfranco Amato) |
PROVITA ONLUS Il Presidente (Antonio Brandi) |
NUOVI ORIZZONTI Il Referente (Silvia Piasentini) |
MEVD Il Referente (Maria Alessandra Scolaro) |
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L'ULTIMA FOLLIA GAY: GESÙ E GLI APOSTOLI SONO DEI NOSTRI
La denuncia penale contro lo sketch blasfemo mandato in onda su Rai2, in cui Gesù veniva presentato come un gay, ha provocato diverse reazioni. La più interessante è quella di coloro che non solo non hanno visto nulla di male nell’iniziativa della Tv di Stato, ma che, anzi, hanno difeso a spada tratta l’assurda pretesa che Nostro Signore fosse un omosessuale dichiarato. Hanno invocato, a supporto della tesi, «importanti e recenti documenti storici» che comproverebbero inequivocabilmente l’orientamento sessuale del Cristo.
In realtà è una storia ampiamente conosciuta e, ormai, per nulla recente. Si tratta di quella settantina di codici scoperti, circa dieci anni fa, in una grotta della Giordania, che avrebbero dovuto rivoluzionare la concezione del cristianesimo e la Chiesa cattolica. Invece, non hanno scalfito minimante né l’uno né l’altra. Nella polemica seguita alla denuncia contro la Rai è tornato in circolazione anche il provocatorio articolo pubblicato il 4 novembre 2011 sul prestigioso quotidiano britannico The Guardian, a firma del professor Michael Ruse, darwiniano docente di filosofia alla Florida State University. Il titolo dell’articolo non lascia dubbi sul contenuto, affermando apoditticamente l’omosessualità dichiarata di Gesù Cristo: “Jesus as an openly gay man”. Anche Ruse si rifà alla scoperta dei codici giordani, per dichiarare che «Gesù era inequivocabilmente e apertamente omosessuale».
Ma non era il solo. Secondo il professore, infatti, «Lui e i suoi discepoli formavano un cenacolo di omosessuali, ed erano tra loro legati da sentimenti di amore e mutuo sostegno». Sempre Ruse nel suo articolo ci spiega che già nel Vangelo ufficiale «ci sono chiari esempi di omosessualità – il “discepolo amato” gioca in questo senso un ruolo significativo –, e c’è l’affermazione delle gioie dell’amicizia e dello stare insieme amandosi vicendevolmente». «In quest’ottica», secondo Ruse, «si comprende perfettamente quel passaggio oscuro in cui Gesù esorta i suoi seguaci a rompere i legami familiari: “Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo” (Luca 14,26)», perché «appare ora chiaro che quella esortazione non è tanto un ripudio negativo della famiglia, quanto piuttosto un invito positivo a unirsi per affermare la gioia dell’amore e dello stile di vita omosessuale (“gay lifestyle”)».
PILLOLA DEL GIORNO DOPO: I GpV RICORRONO AL CONSIGLIO DI STATO
COMUNICATO STAMPA 24-2014
I Giuristi per la Vita hanno presentato appello al Consiglio di Stato conto l’ordinanza n. 2407 emessa in data 29 maggio 2014 dal T.A.R. Lazio, sez. III Quater, con cui è stata rigettata l’istanza cautelare nel ricorso avente per oggetto la modifica del bugiardino del farmaco “Norlevo”, la cosiddetta “pillola del giorno dopo”.
Com’è noto, il 17 dicembre 2012, l’A.I.F.A., Agenzia Italiana del Farmaco, ha modificato l’autorizzazione in commercio del predetto medicinale, escludendo tassativamente che lo stesso possa avere alcun effetto – ancorché potenziale – di carattere abortivo, privando in tal modo tutti gli operatori sanitari della possibilità di esercitare il diritto all’obiezione di coscienza.
Questa l’unica motivazione addotta dal T.A.R. Lazio nell’ordinanza impugnata davanti il Consiglio di Stato: «Non sussistono, sotto il profilo del fumus, i presupposti per l'accoglimento della proposta istanza cautelare avuto presente, in linea con quanto evidenziato dalle resistenti amministrazioni, che recenti studi hanno dimostrato che il farmaco ”Norlevo” non è causa di interruzione della gravidanza».
La parola, ora, passa ai Giudici di Palazzo Spada.
IL PRESIDENTE
Avv. Gianfranco Amato
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SE APPENDI UN VOLANTINO DELLA "MANIF" SEI FASCISTA
di Gianfranco Amato
Pantalla è una frazione del comune umbro di Todi. È nota per essere sede del nosocomio di zona, l’Ospedale Unico Territoriale della Media Valle del Tevere. Come molti ospedali d’Italia, anche quello di Pantalla ospita (ancora) una cappella per funzioni religiose. Domenica 7 luglio è accaduto un altro di quei fatti inquietanti sul fronte della libertà d’opinione minacciata dalla propaganda omosessualista. Durante la celebrazione della Santa Messa, intorno alle 18.00, i fedeli si accorgono di un medico del reparto Chirurgia che si reca verso la bacheca posta appena fuori dalla cappella, ove era affisso il manifesto intitolato “Con la legge sull’omofobia siamo tutti a rischio!” firmato dal Comitato Direttivo della Manif pour Tous di Siena. Il medico si avvicina alla bacheca e affigge un foglio. Finita la celebrazione, i fedeli, incuriositi dall’accaduto, vanno a leggere il messaggio lasciato dal medico, e restano basiti. Questo il testo scritto su un foglio che porta il logo della “Azienda Unità Sanitaria Locale Umbria 1”, in riferimento al citato manifesto della Manif pour Tous: «Questo manifesto è razzista e edito da un’organizzazione fascista. Vergogna ai religiosi che lo espongono!!». Il caso è grave e meriterebbe di essere segnalato alle forze di polizia, perché l’offesa gratuita ed infondata di “razzista”, integra un reato penale.
Ma il punto importante è che questo ennesimo episodio rivela la pericolosa deriva di intolleranza che rischia di abbattersi su coloro che osano opporsi alla follia ideologica dell’omosessualismo. Non riusciamo nemmeno ad immaginare cosa potrà accadere quando alla lobby gay verrà fornito pure il supporto della repressione penale. Davvero, come giustamente denuncia il manifesto della Manif pour Tous, con «la legge contro l’omofobia siamo tutti a rischio!!». E allora si vedrà davvero chi sono i “fascisti”.
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