La sfida decisiva per il Cile
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- Pubblicato Mercoledì, 27 Settembre 2017 02:10
di Gianfranco Amato
Il 13 giugno scorso ricevetti da parte dell’Università Cattolica de la Santissima Concepción, che ha sede nella città cilena di Concepción, l’invito a tenere la conferenza inaugurale del IV Congresso di Bioetica intitolato “Uomo, Donna: uno sguardo bioetico” programmato per il 28 e 29 settembre.
Non avrei mai immaginato che una volta diffusa in Cile la voce di una mia possibile presenza, giungessero numerose altre richieste di mie conferenze. E non solo da parte di università.
Tanto per rendere l’idea, ad oggi il programma prevede che io tenga una Lectio Magistralis anche in altre sei università di Santiago: la Universidad del Desarrollo, la Universidad de San Sebastián, la Universidad de Santo Tomás, la Universidad Católica, la Universidad Finis Terrae, il DUOC de San Bernardo.
Occorre aggiungere che in Cile esiste una Chiesa militante e soprattutto Pastori coraggiosi che non temono di denunciare pubblicamente tutti i falsi miti di progresso che noi ben conosciamo su vita, famiglia ed educazione.
Uno di questi è S.E. mons. Juan Ignacio Gonzales, Vescovo di San Bernardo, che non solo si è dichiarato felicissimo di potermi incontrare ma che ha voluto organizzare nella sua diocesi una mia conferenza.
A complicare ulteriormente le cose si è aggiunto il fatto che il prossimo 19 novembre si svolgeranno in Cile le elezioni presidenziali.
Si tratta di una partita molto importante che, peraltro, rende ancora più evidente l’aspetto provvidenziale – e inizialmente sconosciuto – del mio viaggio.
Cerco di delinearvi sinteticamente qual è il quadro politico cileno perché vi sono dei risvolti che possono interessare anche noi.
Come qualcuno di voi saprà, in Cile si sta concludendo la parabola discendente della presidente Michelle Bachelet. Una meteora che si è ormai praticamente spenta.
La Bachelet esordì con un consenso plebiscitario (62%) e fu subito incoronata come un’icona della nuova sinistra liberal. Moderna, progressista, radical-chic, squisitamente politically correct. Insomma, il peggio che possiamo immaginare.
Come tutte le esperienze che si fondano sulla fuffa – vedi il renzismo a casa nostra - anche quella della Bachelet, alla prova di governo, si è dimostrata disastrosa. Un vero e proprio flop.
Errori macroscopici dal punto di vista politico, scandali, arroganza e incapacità assoluta di gestire l’emergenza, soprattutto nella tragedia degli incendi più devastanti della storia del Cile che ha lasciato un bilancio di 11 morti e 400mila ettari di terra bruciata, hanno evidenziato tutti i limiti di una leadership inconsistente. Oggi la Bachelet è in caduta libera sui sondaggi di gradimento che la danno vicina al 20 per cento.
Ma la sinistra liberal quando si trova alle corde ricorre sempre all’ultima carta della disperazione, ossia il tentativo di risollevare gradimento e sondaggi attraverso la bandierina ideologia relativa a tutti i temi cari al politically correct.
Proprio come è accaduto da noi con Renzi e la Legge Cirinnà.
Solo che la Bachelet, trovandosi in una situazione un po’ più disperata del nostro ex premier, le ha volute giocare proprio tutte le carte.
A ridosso della scadenza del suo mandato, infatti, ha messo sul piatto aborto, “matrimonio” gay e, soprattutto il gender. Sì, proprio quello che da noi dicono che non esiste. Ebbene in Cile si è miracolosamente materializzato nella proposta di legge 8924-07 (riconoscimento e protezione del diritto all’identità di genere) approvata il 14 giugno scorso al Senato e ora in discussione alla Camera.
Ma torniamo al quadro politico.
I due principali candidati sono Alejandro Guiller di sinistra e Sebastian Piñera di centrodestra, in passato già presidente del Cile.
Con un patrimonio stimato di circa 2,5 miliardi di euro, Piñera è forse l’unico politico nel continente americano con una ricchezza paragonabile a quella di Donald Trump.
Piñera concluse il suo primo mandato da presidente con valutazioni contrastanti, ottenendo però grandi consensi per il modo in cui gestì un terremoto di magnitudo 8.8 nel 2010 e, nello stesso anno, per aver liberato 33 minatori intrappolati, la cui vicenda aveva attirato l’attenzione di tutto il mondo.
Non si poté più ricandidare perché il sistema cileno non permette ai presidenti di restare in carica per più mandati consecutivi.
Piñera resta un “moderato” di centro destra, paragonabile, dal punto di vista valoriale, ai liberal di Forza Italia, all’area Parisi. È uno, tanto per intenderci, che si è dichiarato disponibile a discutere dell’adozione di minori alle coppie gay. I numeri sarebbero, comunque, dalla parte di Piñera.
In questo scenario abbastanza scontato è piombato come un asteroide José Antonio Kast, la vera novità politica alle prossime elezioni cilene. Alcuni giornali hanno titolato così la sua apparizione: «José Antonio Kast irrumpe con fuerza en la escena presidencial ».
Kast gioca la partita da indipendente, avendo ormai lasciato il partito in cui era politicamente nato, ovvero la Democrazia Cristiana, che in Cile ha ampiamente superato la deriva alfaniana, riducendosi ad una caricatura del PD italiano.
Il nostro José Antonio in poco tempo ha quadruplicato le percentuali dei sondaggi e raddoppiato la candidata democristiana Carolina Goic. E continua incredibilmente a salire. La stampa di sinistra e massonica comincia a temerlo è già lo ha bollato come “ultraconservador”. Per noi si tratta di un marchio di garanzia. Il dato politico interessante, però, è che Sebastian Piñera non riuscirà quasi certamente ad essere eletto al primo turno, e quindi al ballottaggio dovrà necessariamente fare i conti con Kast.
Questo è l’elemento che darà garanzia sulla tenuta dei principi non negoziabili nel prossimo governo cileno.
Ma chi è José Antonio Kast?
Parlamentare cinquantenne, avvocato, cattolico praticante, coniugato con nove figli, Kast è riuscito ad incarnare la voce della maggioranza silenziosa del popolo cileno che non ne può più della melassa trasversale dei falsi miti di progresso, e che vuole tornare a dire la sua su valori come vita, famiglia ed educazione.
Kast è uno che ha il coraggio di parlare pubblicamente di “dictadura gay” e di affermare che l’unica vera famiglia è quella fondata sul matrimonio tra un uomo ed una donna.
Quando in un’intervista, per metterlo in imbarazzo, gli hanno chiesto cosa avrebbe fatto se lui fosse stato omosessuale, ha tranquillamente risposto che avrebbe vissuto la sua condizione in piena castità senza avanzare pretese assurde. E quando gli hanno chiesto che cosa avrebbe fatto se uno dei suoi figli fosse stato gay, lui ha risposto che i figli non si può smettere di amarli qualunque cosa facciano o comunque siano, e quindi lui avrebbe continuato ad amarli e aiutarli, precisando però che non avrebbe mai potuto partecipare al loro “matrimonio”.
La cosa interessante, peraltro, è che ci sono diversi omosessuali che hanno dichiarato pubblicamente di votarlo perché è una persona corretta, e certamente migliore rispetto a tanti altri candidati che a parole si dicono “aperti alla diversità” e gay friendly, mentre in privato si esprimono con parole irriferibili sull’omosessualità. Tipica ipocrisia dei politicanti.
Kast è anche uno che ha il coraggio di affermare pubblicamente che crede nella difesa del diritto alla vita dal concepimento
fino alla morte naturale. Sulla proposta di legge in tema di aborto che sta avanzando nell’iter parlamentare, Kast ha dichiarato che utilizzerà qualunque mezzo per arrestarla, ivi compreso il ricorso alla Corte costituzionale.
Nella denegata ipotesi in cui la legge dovesse venire approvata, Kast ha già annunciato di avere pronto un disegno di
legge per la sua abrogazione. E alla stampa ha dichiarato: «Si salgo presidente, ése será el primer proyecto de ley que voy a mandar ». Il suo primo atto come presidente sarebbe quello di abrogare l’eventuale legge sull’aborto. C’è una bella differenza rispetto a certi annunci di candidati premier italiani i quali promettono come primo atto di governo la riapertura delle case chiuse, la liberalizzazione della prostituzione, il papponaggio di Stato.
Kast sarebbe un perfetto candidato del Popolo della Famiglia, e incarna pienamente la mission di questo movimento politico: essere la garanzia della tenuta di un futuro governo sui principi non negoziabili in tema di vita, famiglia, educazione e l’attuazione concreta della Weltanschauung cristiana alla luce della dottrina sociale della Chiesa.
Però, come sapete, dietro ogni grande uomo c’è sempre una grande donna. L’aforisma sembra essere attribuito a Virginia Wolf, però era già noto all’antica saggezza dei romani: «Dotata animi mulier regit virum».
Questo vale, ovviamente, anche per José Antonio Kast, che si trova dietro di sé la bella e intelligente Maria Pia, sua moglie. Una vera «dotata animi mulier». È lei che crea gli slogan, da consigli, lo ispira, lo consola e lo coccola. Sembra persino che sia lei a tagliargli i capelli. Ma la cosa più importante è che Kast non si vergogna di dire che spesso
lui e sua moglie pregano insieme a voce alta e che - nonostante i numerosissimi impegni oggi amplificati con la campagna elettorale – loro hanno deciso di ritagliarsi un giorno intero alla settimana per stare completamente
da soli. Lo chiamano “el dia de popoleo”, ceh potremmo tradurre come il giorno dei “fidanzatini”. Un gesto concreto per
testimoniare che la famiglia resta sempre al primo posto come la cosa più importante.
Una bella testimonianza. È previsto che io mi incontri con Maria Pia il 25 settembre. Pranzerò con lei ed i collaboratori
del candidato Kast. Anche dal punto di vista politico è prevista una fittissima agenda con parlamentari e politici cileni sanamente “ultraconservador”.
Il 3 ottobre tutto il giorno è dedicato ad incontri che terrò a Valparaíso la sede del Congresso Nazionale, il parlamento cileno, dove parlerò e pranzerò invitato da deputati e senatori.
Visto l’esito della mia visita ai parlamentari del Messico – dove lo scorso novembre è stata bocciata la proposta di legge del “matrimonio” gay – qualche politico cileno dice scherzosamente che io forse porto fortuna.
E quindi vorrebbero che io parlassi il più possibile. Non so si tratti di fortuna, io credo più nella Provvidenza e il “caso” che io mi trovi in Cile ne è una conferma.
È poi previsto che io partecipi ad una trasmissione a Radio Maria cilena, e che mi sottoponga al consueto rito della interviste, conferenze stampa, tavole rotonde e dibattiti.
Anzi, per essere precisi le interviste mi hanno preceduto in Cile. Alcuni giornalisti mi hanno contattato prima della mia partenza e hanno già pubblicato le mie risposte. Il programma è talmente fitto che hanno impegnato persino i pranzi e le cene per incontrare gente. Orate pro me fratres!
Pubblicato su "la Croce Quotidiano" del 26 settembre 2017