DIVORZIO “BREVE”: È DAVVERO UNA CONQUISTA ?

di Filippo Martini

Con una votazione pressoché unanime (30 i deputati contrari) è stato approvato alla Camera il ddl unificato 831-892-1053-1288-1938-2200-A  che disciplina il cosiddetto “divorzio breve” e lo “scioglimento anticipato della comunione” tra i coniugi.

Sarà certo casuale: una maggioranza così schiacciante, a poche ore da un suffragio europeo e amministrativo che ha consacrato il Pd sugli altari del governo democratico del paese, facendo traballare il movimento 5 stelle, Forza Italia e sprofondare gli altri partiti.

Sì, sul divorzio breve la maggioranza c’è stata, schiacciante e bipartisan.

Il disegno di legge, che ora passerà in esame al Senato prevede sostanzialmente che alle parole “tre anni” dalla separazione, originariamente previsti dall’art. 3 l. 898/70 per lo scioglimento degli effetti civili del matrimonio (divorzio), siano sostituite le parole “dodici mesi”. La decorrenza del termine poi è anticipata alla data di notifica della domanda di separazione (mentre prima, era già fissata all’udienza di comparizione dei coniugi avanti al Presidente del Tribunale).

Forse (e si scusi la nota non priva di vis polemica) si poteva direttamente eliminare l’istituto della separazione. Istituto che, ricordiamolo, secondo l’intendimento originario del legislatore aveva senso in quanto caratterizzato da un lasso di tempo congruo (tre anni, appunto, erano stati ritenuti congrui negli anni ’70) affinché i coniugi ponderassero un eventuale ripensamento che li aiutasse a riconciliarsi. Evidentemente non è così. O meglio non è più così. Non si crede più nella “pace”. Chi si ammanta di bandiere arcobaleno con la scritta “PACE”, probabilmente non crede, non spera che due persone sposate possano provare (magari con un aiuto) a riconciliarsi seriamente. Si fanno appelli alla pace nel mondo, si fanno moratorie per scongiurare crisi internazionali, ma evidentemente, al “microcosmo” di una famiglia che rischia di sfasciarsi e così di sfasciare le basi sui cui lo stato, i popoli, si fondano, nessuno ci pensa. E quindi, togliamo i tre anni, però manteniamo la parvenza buonista di una separazione che ormai è pura ipocrisia e la cui soppressione integrale sarà evidentemente il prossimo passaggio (tanto per adeguarci ai paesi Europei più progressisti).

Ipocrisia che pone il suo vessillo in quella “udienza di conciliazione” che dapprima i coniugi erano chiamati ad espletare personalmente avanti al Presidente del Tribunale, la cui ratio è stata da subito snaturata: è divenuta nel tempo e sempre più una sorta di udienza filtro finalizzata a verificare la possibilità di passare da una separazione giudiziale (cioè “litigiosa”) ad una consensuale.

Dodici mesi dunque, per sciogliere un vincolo coniugale. In dodici mesi non vi è nemmeno il tempo di rendersi conto di che cosa sia accaduto. In dodici mesi, i coniugi separati sono ancora nella fase preliminare, dell’epilogo di una crisi trascinata nel tempo, covata, poi esplosa in un gesto eclatante (la separazione) che quanto meno avrebbe potuto consentire di rimettersi in discussione. Di pensare, separati fisicamente l’uno dall’altro. Di cessare per un periodo di tempo le urla, le grida, i tradimenti che avevano reso intollerabile l’unione … Di ricominciare a pensare a sé stessi, all’altro, al progetto di vita insieme, alle cause della crisi.

Dodici mesi che poi diventano sei, in caso di separazione “consensuale”.

E’ quasi superfluo dire che in dodici mesi, e ancor meno in sei, non si metabolizza nulla e la persona, che cerca per sua natura la felicità, gode di questa forma di “nuova libertà riconquistata”. L’onda emotiva è talmente elevata, da far gustare questa fantomatica (?) libertà in tutta la sua pienezza. Tanto dal contare i mesi, i giorni, e poi le ore che separano dall’agognato “divorzio breve”.

In questo modo il matrimonio, nemmeno può dirsi un istituto “contrattualizzato”. E’ peggio, è trattato estremamente peggio rispetto al contratto. Nel contratto, quanto meno, vi sono cause invalidanti e risolutive determinate e soprattutto oggettivizzate. Vi sono cause lunghe, complesse per accertare se il contratto sia o meno valido, sia o meno risolto e per colpa di quale inadempimento.

Paradossalmente, ciò non avviene nel matrimonio ove basta che il mero “sentimento”, il solo “sentire” di una parte, trascini nel baratro un’intera famiglia, magari con dei figli. Questa è oramai divenuta, la condizione “intollerabile” che può portare uno dei due coniugi a chiedere la separazione e poi, in pochi mesi, lo scioglimento di quel vincolo divenuto insostenibile.

Una insostenibilità tale che il soggetto necessita di divorziare in pochi mesi per poi fare cosa ? Risposarsi ? Ri-legarsi in un vincolo matrimoniale ? Al giorno d’oggi, in cui sette coppie su dieci convivono e in cui i soggetti separati non sono più obbligati alla coabitazione e al vincolo di “fedeltà” sin dalla prima udienza presidenziale di separazione ? Verrebbe da sorridere se i fattori in gioco non fossero drammatici.

E viene ancora più da sorridere se si pensa che in base ai dati Istat, circa il quaranta per cento delle separazioni non si trasformano in un divorzio, e moltissimi coniugi preferiscono permanere in uno stato di separazione caratterizzato spesso da rapporti civili e costruttivi.

La riduzione del termine per la presentazione della domanda di divorzio ad un solo anno, dunque, non tiene conto di questa realtà sociologica e del fatto che, con un termine più ampio, vi sarebbe comunque la possibilità che intervenga una riconciliazione. Appare inoltre inaccettabile che dal testo, sia espunto il riferimento ai figli, senza tenere conto di quanto la separazione dei genitori sia per costoro traumatica e penosa.

Certo, a leggere le parole dell’onorevole Alessandro Zan, pare proprio che per i figli non vi potesse proprio essere spazio. Lo riportiamo, testualmente e quindi in virgolettato:

La legge sul divorzio breve è un primo grande passo verso il riconoscimento delle libertà civili: finalmente presto sarà consentito ai coniugi di non trascinare per anni il proprio contenzioso, permettendo loro di riorganizzare in tempi brevi e in modo stabile la propria vita. Una buona parte degli oltre cinque milioni e quattrocentomila procedimenti civili pendenti in Italia è rappresentata proprio dalle cause di separazione, consensuale o giudiziale, iscritte a ruolo: un sistema che ha riflessi rilevanti sull’efficacia e la stessa competitività dell’intero nostro sistema giudiziario, oltre che sulla vita di migliaia di persone. Modificare questo sistema semplificando le procedure e riducendo i tempi è una battaglia di civiltà giuridica e sociale, che ci mette finalmente in linea con gli altri paesi europei ed extraeuropei dove è possibile ottenere il divorzio in tempi rapidi, con procedure semplici e costi assai contenuti. Ora mi auguro che il Senato approvi con senso di responsabilità il testo, facendo in modo che l’Italia volti pagina, e che questo sia un seme cui ne seguiranno molti altri, a partire dall’estensione del matrimonio civile alle coppie gay e lesbiche, da una legge sulle unioni civili non matrimoniali, da una revisione della normativa sulle adozioni, fino al testamento biologico e alla fecondazione assistita: una riforma complessiva del diritto di famiglia, insomma, attesa da anni e che finalmente rappresenterebbe per l’Italia uno straordinario salto di civiltà

 L’onorevole Zan, dopo il solito prologo iniziale trito e ritrito sui “diritti”, sul diritto di “riorganizzarsi la vita” e quindi sulla “libertà” degli ex, sul “mettersi in linea con l’Europa”, cala tutti gli assi (e toglie la maschera) nel finale, dove in cinque fenomenali righe, svela tutto il piano in realtà sotteso al c.d. “divorzio breve”.

E’ assolutamente paradossale che in questo intervento si dica tutto e il contrario di tutto, in nome della “libertà” e dei “diritti”: c’è il diritto a divorziare in pochi mesi; poi c’è il diritto a risposarsi e riprovare a raddrizzare stabilmente la vita; poi “l’Italia deve voltare pagina”. E allora via con “estensione del matrimonio civile alle coppie gay e lesbiche” passando  ”da una legge sulle unioni civili non matrimoniali” senza dimenticarci i bambini e, quindi, via ad ”una revisione della normativa sulle adozioni omosessuali” e già che ci siamo, perché non inserirci anche il “testamento biologico” senza scordarci della ”fecondazione assistita” o meglio, quel che ne resta dopo la falcidia subita dalla Corte Costituzionale e dalle prassi applicative (alla faccia delle “leggi compromesso”).

Come già emerso, quello che davvero, ancora, non si comprende dalla disamina di questa legge è dove sia e come sia tutelato l’interesse della parte più indifesa, ossia, i figli. Semplice, non vi è tutela. O meglio ve n’è la parvenza (ricordate ? I figli sono tutelati con “l’affido condiviso”, con la piena parificazione “figli legittimi – naturali” e altri surrogati simili). La verità, purtroppo, è che i figli sono mercificati rispetto ai desiderata dei genitori litigiosi che, anziché rimettersi in discussione, preferiscono “tutelarli” affermando “meglio separarci, e poi divorziare, così i figli non ci vedranno litigare e saranno certamente più sereni“. Certo. Come se la felicità dei figli dipendesse dalla “pace – linea piatta” tra i genitori e non dal vedere due che pur nel dramma, nella difficoltà, si riconfermano sempre, si perdonano, ricominciano, si rilanciano nell’avventura matrimoniale. Occorre essere distanti anni luce dalla realtà per credere che sia davvero così.

Chiaro tutto quindi. L’onorevole Zan, che assieme a molti altri colleghi è uno dei promotori del ddl in esame ci propone una riforma del diritto di famiglia sostanziale che è molto (troppo) ampia. Così ampia, che la famiglia la annienterà del tutto.

Quello sul divorzio breve è un altro tassello di tale progetto deflagrante. Contrastato da trenta deputati.

           

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