Sul disegno di legge contro l'omofobia emendato
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- Pubblicato Venerdì, 26 Luglio 2013 14:26
di Patrizia Firmani
Il disegno di legge assume come criterio di base quello della "omofobia" elaborato in sede comunitaria che, al di là della incongruenza lessicale, e stato introdotto mediaticamente nel linguaggio comune coll'ormai notorio significato di "avversione per le condotte omosessuali e transessuali".
Il diritto penale tutela beni oggettivamente fondamentali per la collettività: la vita, l'onore, la proprietà, la fede pubblica, il prestigio per le istituzioni, ecc. Beni che non soddisfano un interesse generale riconosciuto dall'ordinamento sono giuridicamente indifferenti.
Le tre forme di reato ideate dal disegno di leggi, invece, sono accomunate dal porre omosessualità e transessualità quali valori collettivi da tutelare in sè. Infatti introducono una tutela speciale per i soggetti che ne sono portatori, oltre quella che il sistema penale assicura a qualunque comune cittadino.
Proposta assurda, oltre che giuridicamente infondata, perché analoga protezione potrebbe essere invocata da una serie infinita di soggetti in ragione di proprie condizioni personali, quali quelli di essere cultori di caccia e pesca, di essere obesi, fumatori, di appartenere a tifoserie calcistiche, di essere amanti del gioco d'azzardo e delle corse di cavalli, oppure magari anche cattolici ortodossi e praticanti.
Tutto ciò mette in evidenza la insensatezza del presupposto, mentre l'impraticabilità giuridica delle singole figure emerge dalla più superficiale delle analisi.
La prima figura riguarda la punibilità della diffusione di idee omofobiche. L'art 21 della costituzione pone tra i diritti fondamentali del cittadino quello di manifestare liberamente il proprio pensiero. In mancanza di una indicazione specifica di contenuto, si è sostenuto - soprattutto dalla giurisprudenza chiamata a decidere sulle offese alla religione - che non esistono limiti alla libera manifestazione del pensiero. In questa prospettiva interpretativa emergerebbe immediatamente la incostituzionalità della nostra norma, che limita tale diritto fondamentale in ragione delle idee omofobiche espresse dall'autore. Ma, come è noto, anche il diritto di manifestazione del pensiero, cede di fronte a valori ritenuti in certi casi come prevalenti dal legislatore (vedi tra i reati contro la personalità dello stato, l'art. 278, che punisce l'offerta all'onore e al prestigio del presidente della Repubblica). Si dovrebbe dunque dedurre, dalla norma proposta, che non solo l'omosessualità costituisce un valore collettivo riconosciuto, ma che è di pari rango rispetto all'onore e al prestigio del Presidente della Repubblica.
Va osservato, d'altra parte, che il reato di opinione è tipico di un sistema totalitario, perché consente di eliminare ogni critica verso i propri assetti politici, come ricordano i gulag che hanno ospitato tanti illustri dissidenti del passato regime sovietico.
La seconda e la terza ipotesi riguardano atti di discriminazione e di violenza commessi per motivi di omofobia.
Il reato, in un sistema "liberale" attento a contenere, oltre al possibile arbitrio del legislatore, anche l'abuso da parte del giudice, deve essere riconducibile ad un tipo di azione predeterminato dalla legge ed individuabile oggettivamente dalla struttura descrittiva della norma incriminatrice. Nelle norme de quibus la condotta è genericamente indicata come atti di discriminazione e di non precisata violenza, che lasciano uno spazio infinito alla fantasia dell'interprete. Inoltre, e questo dilata enormemente se possibile la arbitrarietà delle previsioni normative, ciò che condiziona l'esistenza stessa del reato è il motivo "omofobico". Il nostro ordinamento non prevede che si possa essere puniti per un fattore puramente interiore, indeterminato e indeterminabile, quale il motivo che muove l'azione. I motivi sono rilevanti soltanto come circostanze e servono per graduare la pena. Siamo cioè ancora una volta nell'orizzonte di quel diritto penale che non punisce tanto il fatto quanto l'atteggiamento soggettivo interiore e che è stato utilizzato dai regimi totalitari per il controllo delle coscienze e l'imposizione dell'ideologia di stato.
Sulla medesima linea si pone del resto la possibile pena accessoria, che ben rientra nei programmi di rieducazione noti anche essi ai regimi comunisti del passato e del presente.