LA TEORIA GENDER NELLA “BUONA SCUOLA”: BISOGNA VIGILARE

di Monica Boccardi

Si rincorrono voci, sui social network, ora allarmistiche, ora tranquillizzanti, di denuncia e di negazione dell’esistenza di un “rischio gender” nei programmi scolastici a venire.

Appare dunque necessario fare chiarezza e comprendere che cosa sia accaduto, a livello legislativo, per far scattare questo allarme.

La legge, chiamata dal Governo “La Buona Scuola”, contraddistinta dal numero 107 è stata approvata in data 13 luglio 2015 e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n.162 del 15.7.2015.

È dunque entrato in vigore anche il tanto paventato e osteggiato comma n. 16 che recita:

«Il piano triennale dell’offerta formativa assicura l’attuazione dei principi di pari opportunità promuovendo nelle scuole di ogni ordine e grado l’educazione alla parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni, al fine di informare e di sensibilizzare gli studenti, i docenti e i genitori sulle tematiche indicate dall’articolo 5, comma 2, del decreto‐legge 14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 ottobre 2013, n. 119, nel rispetto dei limiti di spesa di cui all’articolo 5‐bis, comma 1, primo periodo, del predetto decreto‐legge n. 93 del 2013».

In sé e per sé, la dizione appare del tutto innocua e priva di riferimenti a lezioni di educazione sessuale secondo i noti e perniciosi Standard europei OMS, oppure orientate alle paventate destrutturazioni di genere, ovvero comunque coinvolgenti tematiche che vadano a toccare la moralità e la fede personale dei genitori che desiderano trasmetterla ai figli.

In realtà, la legislazione in questo campo, come ultimamente accade troppo spesso, è composta da una serie di scatole cinesi che, attraverso rinvii ad altre leggi che rimandano ad altri provvedimenti legislativi, fa girare la testa al giurista… figuriamoci al cittadino medio.

E, infatti, il famigerato comma non stabilisce in parole povere in che cosa esattamente consista “l’attuazione dei principi di pari opportunità promuovendo nelle scuole di ogni ordine e grado l’educazione alla parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni…” ma rinvia ad altra legge la definizione delle tematiche e le modalità su cui dovrebbe basarsi tale informazione e sensibilizzazione.

Onestamente, bisogna ammettere che le “pari opportunità… l’educazione alla parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni” sono certamente ottimi obiettivi educativi, che sicuramente nessun genitore vuole osteggiare.

Allora andiamo a vedere che cosa prescrive il citato “articolo 5, comma 2, del decreto‐legge 14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 ottobre 2013, n. 119″, cui il comma 16 rinvia.

Il testo, omesse le parti che non interessano direttamente la scuola, così si esprime: «Piano d’azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere: 1. Il Ministro delegato per le pari opportunità, (…), elabora (…) un “Piano d’azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere“, di seguito denominato “Piano”, che deve essere predisposto in sinergia con la nuova programmazione dell’Unione europea per il periodo 2014-2020.

2. Il Piano, con l’obiettivo di garantire azioni omogenee nel territorio nazionale, persegue le seguenti finalità: (…) c) promuovere un’adeguata formazione del personale della scuola alla relazione e contro la violenza e la discriminazione di genere e promuovere, nell’ambito delle indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione, delle indicazioni nazionali per i licei e delle linee guida per gli istituti tecnici e professionali, nella programmazione didattica curricolare ed extracurricolare delle scuole di ogni ordine e grado, la sensibilizzazione, l’informazione e la formazione degli studenti al fine di prevenire la violenza nei confronti delle donne e la discriminazione di genere, anche attraverso un’adeguata valorizzazione della tematica nei libri di testo (…)».

E dunque nemmeno dalla lettura di questa norma si possono trarre informazioni meno che generiche circa la concreta applicazione di questa “strategia”.

I riferimenti ad ulteriori atti normativi, in questo caso, sono due: il Piano d’azione straordinario di emanazione ministeriale e la Programmazione dell’UE.

Il primo, pur essendo già stato presentato (è infatti disponibile su internet grazie al Sole 24 Ore), non è ancora in vigore, non essendo stato ancora emanato il relativo Decreto Ministeriale.

In esso si legge al punto 5.2 “Educazione”:

«Obiettivo prioritario deve essere quello di educare alla parità e al rispetto delle differenze, in particolare per superare gli stereotipi che riguardano il ruolo sociale, la rappresentazione e il significato dell’essere donne e uomini, ragazze e ragazzi, bambine e bambini nel rispetto dell’identità di genere, culturale, religiosa, dell’orientamento sessuale, delle opinioni e dello status economico e sociale, sia attraverso la formazione del personale della scuola della scuola e dei docenti sia mediante l’inserimento di un approccio di genere nella pratica educativa e didattica. Nell’ambito delle “Indicazioni nazionali” per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione, per i licei, per gli istituti tecnici e professionali, il Governo provvederà dunque ad elaborare un documento di indirizzo che solleciti tutte le istituzioni scolastiche autonome ad una riflessione e ad un approfondimento dei temi legati all’identità di genere e alla prevenzione della discriminazione di genere, fornendo, al contempo, un quadro di riferimento nell’elaborazione del proprio curricolo all’interno del Piano dell’Offerta Formativa. Si riportano nel dettaglio le linee di indirizzo riguardanti l’Asse di intervento “Educazione” (Vd. Allegato B)».

L’allegato B dopo aver richiamato vari passi della convenzione di Istanbul e l’art. 5 citato, indica gli “obiettivi da perseguire” che “dovranno prevedere la rivalutazione dei saperi di genere per combattere stereotipi e pregiudizi; la valorizzazione delle differenze per prevenire fenomeni di violenza sessuale, aggressività e bullismo; il riconoscimento del valore dell’identità di genere per rafforzare l’autostima (…) Nel contesto delle azioni riferite al sistema educativo e scolastico, sarà avviata una apposita riflessione sull’uso del linguaggio nei libri di testo e sui possibili stereotipi discriminatori che ne possono derivare”.

Va annotato che ovunque compare la dizione “superare” o “combattere” “stereotipi e pregiudizi” in relazione all’identità di genere, che è la chiave per aprire la porta all’ingresso delle teorie sulla necessità di “decostruire” le nozioni di genere, che tanto preoccupano i genitori.

Invece, la programmazione UE in vigore (Regolamento (UE) N. 1381/2013 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 17 dicembre 2013 che istituisce un programma Diritti, uguaglianza e cittadinanza per il periodo 2014-2020) è talmente generica, da poter includere qualunque tipologia di azione, purché venga definita “antidiscriminazione”.

Al di sopra di ciò, inoltre, si pone l’attività di “spinta” della Commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere presso il Parlamento europeo, che ha da poco approvato una proposta di relazione nella quale si legge:

Sapere, istruzione e media – 61. Invita la Commissione a creare incentivi per una formazione competente all’utilizzo critico dei media negli Stati membri, che metta in discussione gli stereotipi e le strutture tradizionali, nonché a condividere esempi di prassi eccellenti per verificare la presenza di rappresentazioni stereotipate nei materiali didattici sinora utilizzati; invita la Commissione, a tale proposito, a sostenere programmi di sensibilizzazione in merito agli stereotipi, al sessismo e ai ruoli di genere tradizionali nell’istruzione e sui media, nonché a condurre campagne per la promozione di modelli di ruolo femminili e maschili positivi; sottolinea in questo contesto che la lotta al bullismo e ai pregiudizi nei confronti delle persone LGBTI nelle scuole, sia degli studenti, sia dei genitori o degli insegnanti, deve figurare tra gli sforzi dell’UE per combattere gli stereotipi di genere; sottolinea a tale riguardo l’importanza di una formazione pedagogica attenta alle questioni di genere per gli insegnanti, affinché questi ultimi possano trasmettere chiaramente quali sono i benefici derivanti dalla parità e da una società variegata (….) 63. Sottolinea il ruolo determinante svolto dall’istruzione e dall’emancipazione nel combattere gli stereotipi di genere e nel porre fine alle discriminazioni basate sul genere, nonché l’impatto positivo sia per le donne sia per la società e l’economia in generale; sottolinea l’estrema importanza di inculcare tali valori fin dalla tenera età e di condurre campagne di sensibilizzazione nei luoghi di lavoro e a livello dei media, sottolineando il ruolo degli uomini nella promozione della parità, nell’equa suddivisione delle responsabilità familiari e nel conseguimento di un giusto equilibrio tra vita lavorativa e vita privata (…) 64. Sottolinea che la parità di genere dovrebbe essere un criterio da rispettare in tutti i programmi culturali, di istruzione e di ricerca, finanziati dall’UE e chiede alla Commissione di inserire un settore specifico della ricerca di genere nell’ambito del programma Orizzonte 2020 (….) 67. Chiede alla Commissione di coadiuvare gli Stati membri nella creazione di cattedre per gli studi di genere e la ricerca femminista”.

Ebbene, il punto nodale della questione sembra non tanto l’auspicabile lotta alle vere discriminazioni, al bullismo di ogni tipo, alla violenza, quanto la deriva che tale lodevole intento ha preso, passando dalla necessaria ricerca di eliminazione dei veri cattivi stereotipi, alla generalizzazione che considera sbagliati e da combattere tutti, indiscriminatamente, “gli stereotipi e le strutture tradizionali” cadendo in tal modo nelle esagerazioni della teoria gender.

Questa deviazione finalistica e metodologica è avvenuta in quelle scuole dove si sono verificati gli episodi che hanno allarmato e fatto discutere i genitori in questi ultimi mesi, laddove programmi di lotta alle discriminazioni, al bullismo e al cyberbullismo, e così via, si sono trasformati in qualcosa di totalmente differente, incentrandosi quasi esclusivamente ora sulla “decostruzione” dell’identità di genere personale attribuita all’influenza deleteria della società e dell’educazione tradizionale (vedi il gioco del rispetto a Trieste), ora sulla demolizione del concetto di famiglia, accompagnato dalla narrazione di nascite da utero in affitto, spacciate per “atti d’amore” (vedi i libri sulle famiglie arcobaleno introdotti in molti asili), ora, infine, su informazioni di educazione sessuale che definire discutibili è dir poco, dato che non potevano definirsi tali (vedi il progetto W l’Amore in Emilia Romagna).

D’altronde questa tendenza all’allargamento delle competenze e degli argomenti al solo scopo di includere un certo tipo di tutele non previste non è una novità: l’UNAR (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali) è stato creato, in forza dell’art. 7 del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 215 per “la promozione della parità di trattamento e la rimozione delle discriminazioni fondate sulla razza o sull’origine etnica, con funzioni di controllo e garanzia delle parità di trattamento e dell’operatività degli strumenti di tutela, avente il compito di svolgere, in modo autonomo e imparziale, attività di promozione della parità e di rimozione di qualsiasi forma di discriminazione fondata sulla razza o sull’origine etnica, anche in un’ottica che tenga conto del diverso impatto che le stesse discriminazioni possono avere su donne e uomini, nonché dell’esistenza di forme di razzismo a carattere culturale e religioso”. Ma da qualche tempo si occupa anche di materie non sue, utilizzando fondi statali per attuare strategie riguardanti l’omofobia e la transfobia, che nulla hanno a che fare con i suoi scopi istituzionali, tanto da aver messo a punto una “Strategia Nazionale LGBT italiana”, e da avere emesso “Linee guida per un’informazione rispettosa delle persone LGBT”.

Iniziative che potrebbero essere positive, senonché, oltre ad avere illegittimamente travalicato le competenze dell’ente, deragliando fondi non destinati ad esse, sono state emesse senza alcun controllo e, nel dichiarato intento di lottare contro la discriminazione di una minoranza, si è finito per discriminare fortemente la maggioranza.

Qualche esempio.

Nelle Linee Guida si legge in un riquadro a pag. 15

Il matrimonio non esiste in natura. Mentre in natura esiste l’omosessualità, persino nel mondo animale. Matteo Winkler Giurista”:

Ebbene questa frase è fortemente discriminatoria verso l’eterosessualità, in quanto in natura il matrimonio monogamo esiste eccome e Konrad Lorenz si rivolta nella tomba a sentire tali affermazioni!

E, sempre alla stessa pagina: “Per il momento gli unici gay in casa siamo noi papà, sui figli non ci sono ancora notizie certe e, anche se saranno etero, per noi due non cambierà nulla e gli vorremo bene lo stesso, afferma Claudio Rossi Marcelli, autore di Hello Daddy!”: la stessa frase se fosse riferita da un eterosessuale nei confronti di un figlio possibile omosessuale sarebbe considerata con molta probabilità omofoba.

O, ancora, a pag. 19 si legge: “se c’è chi difende i diritti delle persone LGBT si dovrà dare voce anche a chi è contrario. Questo, però, non è affatto ovvio”, sostenendo la possibilità di escludere un contraddittorio equilibrato quando si discute di questioni (come le adozioni o il matrimonio, di cui si parla subito prima) che per lo più coinvolgono anche altri soggetti, bambini, famiglie che potrebbero vedersi sottrarre fondi e tutele ecc.).

Tali documenti sono stati elaborati dall’UNAR che dichiara: “preziosa la consultazione delle Associazioni LGBT, che hanno svolto un ruolo attivo e propositivo. Le Associazioni sono tra gli stakeholder privilegiati nell’elaborazione della Strategia nel suo complesso, sia nell’identificazione degli obiettivi che nella previsione delle azioni positive da realizzare”, quindi in sostanza, le strategie e le linee guida emesse dall’UNAR rappresentano l’emanazione dei desiderata di tali soggetti.

Il che può apparire per certi versi equo, ma solo se non si eccede finendo per discriminare la maggioranza degli italiani. Nel caso di specie, però, rappresenta comunque un abuso dei poteri e delle competenze istituzionali dell’UNAR.

Ciò dà la misura del rischio di deviazione che può verificarsi, analogamente, nell’ambito scolastico.

Altro aspetto che deve essere considerato è che in nessun caso, nell’ambito della lotta alla discriminazione può essere considerata ricompresa l’educazione sessuale o all’affettività: si tratta di un argomento che non può essere considerato ricompreso nella normativa di cui stiamo parlando e che deve dunque rimanere estraneo alle materie curricolari, salvo che nell’ambito delle lezioni di scienze, laddove sia previsto lo studio del corpo umano, e dove è normale che sia trattato anche l’apparato riproduttivo. Ma si tratterebbe non di lezioni di educazione sessuale, bensì di anatomia e di studio della funzione degli organi riproduttivi, con finalità ben diverse da quelle degli Standard OMS.

È peraltro innegabile che il punto nodale di questo comma 16 della Buona scuola non sia ciò che in esso è scritto, o ciò che è previsto dalla legge richiamata, bensì la modalità in cui la dichiarazione d’intenti sarà realizzata caso per caso e la possibilità o meno di impedire che la lotta alle discriminazioni e alla violenza di genere si tramuti in demolizione, decostruzione della psiche, della personalità, della morale e della fede degli allievi, violando non solo il loro diritto all’autodeterminazione, ma il diritto dei genitori all’educazione dei propri figli.

Sotto questo profilo è necessario comprendere che la politica, guidata dalle lobbies, ha creato uno strumento che, se ben utilizzato, è potenzialmente ottimo al fine di guidare i discenti nella costruzione di se stessi come cittadini, uomini e donne, capaci di rispetto, di discernimento e di collaborazione sociale. Ma nelle mani sbagliate può essere utilizzato per creare vuoti psichici nelle menti dei discenti, privandoli dei punti di riferimento fondamentali per la costruzione di una personalità equilibrata.

Non è però possibile prevedere come verrà in pratica applicata la normativa, né si conosce ancora il reale approccio dei docenti all’argomento.

Gridare al lupo al lupo non serve, bisogna vigilare, ma soprattutto in questo momento, è necessario che i genitori si riapproprino fortemente della propria vocazione educativa e creino prima di tutto a casa, le basi forti fondamentali, perché quanto eventualmente inculcato a scuola possa essere dai ragazzi considerato criticamente e sorpassato laddove deleterio.

Bisogna avere molta più fiducia nella nostra capacità di educare al bene e nella loro capacità di giudizio.

 

Pubbicato su Notizieprovita.it del 12 agosto 2015

 

 

 

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