LOVE IS LOVE

Love is love”. Con questo tweet Barak Obama ha commentato la decisione della Corte Suprema americana che ieri ha bocciato il Defense of marriage act (DOMA), la legge USA che definisce il matrimonio come unione di un uomo e una donna.

Vero è che alcuni Stati USA – compreso lo Stato di New York nel 2011 – hanno già legalizzato il matrimonio tra gay o le unioni civili indipendentemente dal sesso dei conviventi. Ma, a livello federale, dal 1996, esiste (esisteva) questo DOMA, approvato a larghissima maggioranza sia dal Senato che dalla Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti e divenuto legge con la firma dell’allora Presidente Bill Clinton. Si tratta di due articoli, chiari e brevi, che “definiscono e proteggono l’istituto del matrimonio”. Con il primo, si “nega ogni possibile beneficio di legge, a livello federale, a coppie gay o lesbiche già sposate nei singoli Stati che già autorizzano le nozze gay”. Con il secondo, “gli Stati Uniti riconoscono nella definizione di ‘matrimonio’ esclusivamente l’unione legale tra un uomo e una donna”.

Bene. Con l’odierna decisione, la Corte Suprema degli Stati Uniti ha definito “incostituzionale” la norma che impedisce a coppie dello stesso sesso di ottenere benefici, economici, fiscali, previdenziali, sanitari a livello nazionale. Dopo ciò, nessun provvedimento federale potrà trattare diversamente una coppia omosessuale da una famiglia, dovendo riconoscere ad entrambe gli stessi benefici. Senza entrare nel merito dei complessi rapporti tra USA e singoli Stati, evidentemente la decisione avrà conseguenze anche in quegli Stati – e sono ovviamente la maggioranza – ove non è legalizzato il matrimonio gay. Non si impone a detti Stati di istituirlo, né di riconoscere quello ottenuto altrove. Di fatto però ogni provvedimento riguardante la famiglia dovrà estendersi anche alle coppie omosessuali.

La Corte Suprema decide anche la questione denominata Proposition 8, che è il nome dato al referendum celebrato in California nel novembre 2008, dove il 52% degli elettori votò “si” all’abolizione del matrimonio gay; il quesito referendario però era stato dichiarato incostituzionale dal Tribunale di Los Angeles. La Corte Suprema, ora investita a sua volta della questione, ha deciso di non avere l’autorità per decidere, avallando di fatto un ritorno al matrimonio gay nello Stato.

Ciò che colpisce, nelle decisioni odierne della Corte Suprema, è il fatto che una legge approvata a larga maggioranza dal Parlamento USA e un referendum deciso da più della metà dei cittadini, a difesa del matrimonio e della famiglia, siano stati “superati” da pochi giudici della Corte Suprema, cinque voti a quattro. In sostanza, cinque persone decidono del futuro di popoli interi.

Per carità, nulla di sovversivo né di antidemocratico, in quanto sono stati attuati strumenti e garanzie espressamente previsti dall’ordinamento giuridico democratico americano. Ma la circostanza fa comunque pensare, visto il profondo impatto culturale e antropologico delle scelte assunte.

E’ un problema generale, che si pone anche per le nostre democrazie europee, con riferimento alle decisioni della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, spesso innovatrici rispetto a presunti nuovi diritti civili non previsti nei singoli Stati.

Si sta andando verso un’oligarchia dei diritti umani, in cui poche persone si trovano ad essere democraticamente depositarie del potere di decidere cosa sia un diritto umano e quale aspetto dell’uomo sia tutelabile rispetto ad altre pretese ritenute cedevoli?

E’ un aspetto che sottolineo a livello problematico; è già un primo passo cominciare ad esserne consapevoli.

Dal punto di vista sostanziale, invece, mi pare che il primo macroscopico effetto delle decisioni della Corte Suprema sia l’alterazione – a livello cellulare, costitutivo, genetico – di ciò che è famiglia. Non esiste più la famiglia come primo e fondamentale nucleo della società. Esistono diversi tipi di unioni, il cui unico collante è il dichiarato amore.

“Love is love”, come dice Barak Obama, non ammette discriminazioni.

Ma, caro Presidente, possibile che l’uomo chiamato a guidare gli Stati Uniti, certo una delle organizzazioni statali più importanti e potenti della scena mondiale, sia così condizionato dall’omologazione dell’ideologia e del potere di moda, da non domandarsi neppure più cosa consigli il semplice buon senso? Se è vero che “love is love”, caro Presidente e cara intellighenzia lobbyfera nostrana ed estera, allora dovremmo preoccuparci di far fronte a molte altre discriminazioni. Infatti, sdoganata l’unione omosessuale sulla base del principio di non discriminazione, cosa impedisce di sdoganare altre unioni il cui unico collante sia il dichiarato amore? Non importa infatti verso chi si manifesti amore, uomo o donna. Non importa se detto amore abbia naturalmente la capacità di generare. Non importa se sia estemporaneo. Non importa con quante persone possa essere manifestato contemporaneamente. Né se tra queste vi sia qualcuno già precedentemente sposato (secondo quell’arcaico e borghese istituto, allo stesso tempo da smantellare ma anche da estendere a persone dello stesso sesso). Quindi, caro Obama, non vedo perché il tweet “love is love” non possa essere applicato ad ogni amore dichiarato, indipendentemente dall’età, indipendentemente dalle maglie generazionali esistenti, indipendentemente da ogni altra considerazione che si fondi sulla difesa di un minimo di dignità umana.

“Love is love”, omosessualità, bigamia, incesto, pedofilia, poligamia. Tutto è uguale, nessuno deve essere discriminato. Obama uguale a Michela Marzano, ieri su Repubblica, che critica gli ottusi trogloditi e benpensanti: “non si può essere mica al tempo stesso diversi e uguali – cercano si argomentare altri (noi), senza capire che l’uguaglianza dei diritti è proprio l’uguaglianza nella diversità”.

Ebbene, che uguaglianza sia, allora, ma per tutte le diversità! Non si discrimini all’interno dei discriminati! Love is love per tutti!

Ma è davvero questo il mondo che vogliamo lasciare ai nostri figli?

Credo che, al di là dell’ideologia di moda, qualcosa si ribelli nel fondo del cuore di ciascuno di noi, qualcosa forse di poco politicamente corretto, ma vero.

Avv. Stefano Spinelli

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