Obiezione di coscienza, giuristi contro la CGIL

di Gianfranco Amato

Saranno i Giuristi per la Vita a rappresentare le ragioni dei medici obiettori di coscienza alla legge 194 nel procedimento attivato dalla CGIL davanti al Consiglio d’Europa. La comunicazione ufficiale, datata 19 giugno e firmata da Régis Brillat, è arrivata ieri, insieme all’invito di presentare osservazioni entro il termine massimo concesso, vale a dire il 3 settembre 2013.

La CGIL aveva infatti presentato un reclamo al Comitato Europeo dei Diritti Sociali presso il Consiglio d’Europa (complaint n.91/2013), nel quale sostiene vengano violate alcune disposizioni della Carta Sociale Europea, in ragione dell’elevato numero di medici obiettori di coscienza che si avvalgono in Italia del diritto loro riconosciuto dall’art.9 della Legge 194/78. In particolare, secondo la CGIL, sarebbero violati:
a) l’art. 11 della Carta Sociale Europea, in relazione ai diritti della donna, a causa delle difficoltà applicative della Legge 194/78 che compromettono il diritto di accesso ai trattamenti interruttivi della gravidanza;
b) l’art.1, 2, 3 e 26  della Carta Sociale Europea in relazione ai diritti del personale medico ed esercente le attività ausiliarie non obiettore di coscienza, a causa delle difficoltà applicative della Legge 194/78 che compromettono la posizione giuridica dei medici non obiettori sui quali grava il carico complessivo di lavoro relativo ai trattamenti di interruzione della gravidanza.

 

Di fronte a questa iniziativa i Giuristi per la Vita hanno deciso di reagire mettendosi a disposizione di tutti coloro che avessero un interesse ad opporsi. Hanno così aderito l’A.I.G.O.C. Associazione Italiana Ginecologi Ostetrici Cattolici, l’A.M.C.I. Associazione Medici Cattolici Italiani, il Forum delle associazioni familiari, la C.F.C. Confederazione Italiana dei Consultori familiari di Ispirazione Cristiana e il Centro Studi per la tutela della salute della madre e del concepito dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma.
E ora, il Presidente del Comitato dei Diritti sociali, lo spagnolo Luis Jimena Quesada, ha direttamente invitato il team di legali pro-life a presentare le loro osservazioni.

Nella memoria che gli stessi Giuristi per la Vita presenteranno a Strasburgo appare evidente l’infondatezza delle ragioni addotte dalla CGIL a sostegno del proprio reclamo, smentite documentalmente dagli stessi dati ufficiali delle Relazioni del Ministero della Salute. Sono proprio questi documenti pubblici a dimostrare alcuni punti inequivocabili.

Primo, l’interruzione volontaria della gravidanza resta uno dei servizi sanitari erogati ad un livello di efficienza molto alto, che non è peggiorato nel corso degli anni, e che difficilmente si riscontra per altre tipologie di intervento.
Secondo, non esiste un solo caso in cui, ad una donna, sia stata negata la possibilità di abortire legalmente. Terzo, nel 95% dei casi l’aborto viene eseguito entro tre settimane dal momento in cui è possibile, e ciò benché oltre il 90% degli interventi non sia urgente.
Quarto, in nove interventi su dieci si ricorre al day hospital.
Quinto, il numero delle complicanze è minimo e stabile nel tempo, mentre il numero degli aborti clandestini è ai livelli minimi.
Sesto, il crescente numero delle donne straniere che abortiscono legalmente dimostra la facilità dell’accesso al servizio che, si deve ricordare, è gratuito.

Il reclamo della CGIL, poi, nel denunciare l’esistenza di disservizi in alcuni ospedali, sembra non considerare due aspetti che risultano evidenti dalle Relazioni ministeriali, ovvero il fatto che non venga mai impedito alle donne di abortire, quando si programma un intervento, ed il fatto che la mobilità in altre province o regioni d’Italia da parte delle donne che abortiscono sia sempre stata molto alta. Il problema è che la stessa legge 194, imponendo a tutti gli ospedali di erogare il servizio di interruzione della gravidanza, finisce per impedire, di fatto, una efficiente programmazione sanitaria e la creazione di reparti di dimensioni adeguate, con personale sufficiente e strumentazioni idonee. Una simile scelta, peraltro, è prevista solo per questa particolare “specialità sanitaria”, e per nessun altro intervento medico.

Del tutto inconsistenti sono, poi, i rilievi del reclamo della CGIL relativi alla asserita lesione del diritto dei medici non obiettori ad esercitare la propria professione in condizioni eque e dignitose.
Ha davvero del paradossale il fatto che un sindacato possa decidere di lottare contro un diritto riconosciuto per legge ai lavoratori (medici obiettori) e proporre di discriminarli, appoggiando la soluzione dei bandi di assunzione riservati a medici non obiettori, già bocciata dal Giudice amministrativo.

La CGIL sembra in realtà aver fatto una scelta: non difendere i lavoratori, ma colpirli in sede europea, per mero furore ideologico, apparendo del tutto pretestuoso l’asserito interesse alla salute delle donne o alle condizioni dei medici obiettori. Appare semplicemente intollerabile che la grande maggioranza dei medici, con la loro obiezione, dia una silenziosa testimonianza del fatto che l'aborto uccida un bambino e che compito del medico sia quello di curare, e non di causare la morte.

Questo concetto, peraltro, era assai evidente nell’antico giuramento di Ippocrate, quello che i medici pronunciavano invocando Apollo, Asclepio, Igea, Panacea e tutti gli dei e le dee. In quel testo, infatti, coloro che si votavano alla professione di Esculapio giuravano di non somministrare mai un farmaco mortale (φάρμακον θανάσιμον), neppure se richiesto (οὐδενὶ αἰτηθεὶς), e soprattutto si impegnavano solennemente a non dare a nessuna donna un medicinale abortivo (οὐδὲ γυναικὶ πεσσὸν φθόριον δώσω). Era il IV secolo avanti Cristo. Da allora di secoli ne sono trascorsi ventiquattro, duemilaquattrocento anni, ma l’uomo contemporaneo, in quel campo, non pare aver dimostrando di essere più saggio. Anzi.

 

Pubblicato ne "La Nuova Bussola Quotidiana" del 21 giugno 2013

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