I Giuristi per la Vita in Europa a difesa del diritto all’obiezione di coscienza
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- Pubblicato Sabato, 08 Giugno 2013 15:41
All’azione della Cgil presso il Consiglio d’Europa contro lo stesso dettato della legge 194 rispondono le associazioni prolife italiane: «Ecco perché l’alto numero di medici obiettori nel nostro Paese non minaccia la salute delle donne»
Lo scorso 17 gennaio, in sordina e senza particolare clamore mediatico, la Cgil ha presentato un reclamo al Comitato europeo dei Diritti sociali del Consiglio d’Europa, in cui si sostiene che in Italia il gran numero di medici obiettori di coscienza in materia di aborto metterebbe a rischio la salute delle donne e il diritto dei medici non obiettori a lavorare in condizioni eque, dignitose e sicure. Non tutti, però, hanno deciso di restare inerti di fronte a questa discutibile iniziativa del sindacato. I «Giuristi per la vita» hanno dato la loro disponibilità a rappresentare a Strasburgo le ragioni degli obiettori di coscienza, ottenendo l’incarico da alcune organizzazioni, tra cui l’Associazione italiana ginecologi ostetrici cattolici, l’Associazione medici cattolici italiani, il Forum delle associazioni familiari, la Confederazione italiana dei consultori familiari di ispirazione cristiana e il Centro studi per la tutela della salute della madre e del concepito dell’Università Cattolica di Roma. Il loro documento si affianca a quello già presentato dal Movimento per la vita.
In un’articolata e documentata memoria, i Giuristi per la vita hanno dimostrato l’infondatezza delle argomentazioni addotte dalla Cgil utilizzando, soprattutto, i dati i dati ufficiali esposti nelle relazioni del Ministero della Salute, dai quali emerge, tra l’altro, che l’elevato numero dei medici obiettori di coscienza non limita affatto il diritto di abortire delle donne, né determina un pericolo per la loro salute. Sono proprio le relazioni ministeriali a dimostrare, infatti, che il «servizio Ivg» è offerto a un livello di efficienza molto alto, che non è peggiorato nel corso degli anni, e che difficilmente si riscontra per altri interventi. In sintesi: non esiste alcun caso in cui a una donna sia stata negata la possibilità di abortire legalmente; nel 95% dei casi l’aborto viene eseguito entro tre settimane dal momento in cui è possibile, e ciò benché oltre il 90% degli interventi non sia urgente; in nove interventi su dieci si ricorre al day hospital; il numero delle complicanze è minimo e stabile nel tempo; il numero degli aborti clandestini è a livelli minimi, checché se ne dica. Il crescente numero delle donne straniere che abortiscono legalmente dimostra, inoltre, la facilità dell’accesso al servizio che – si deve ricordare – è gratuito.
Il reclamo della Cgil, poi, nel citare casi di ospedali che non riescono ad assicurare il servizio, non tiene conto di due diversi fattori, entrambi evidenziati nelle relazioni ministeriali: primo, non viene mai impedito alle donne di abortire, quando si programma un intervento; secondo, la mobilità in altre province o regioni delle donne che abortiscono è sempre stata molto alta. In realtà è la stessa legge che, imponendo a tutti gli ospedali di fornire il servizio, impedisce, di fatto, un’efficiente programmazione sanitaria e la creazione di reparti di dimensioni adeguate, con personale sufficiente e strumentazioni idonee. Un obbligo che esiste solo per questa «specialità medica», frutto di una scelta ideologica ormai datata. Anche le lamentele relative alle condizioni dei medici non obiettori sono del tutto infondate: in nessun modo, infatti, viene leso il loro diritto al lavoro, in condizioni eque, dignitose e sicure. a decisione del Consiglio d’Europa, qualunque sia il suo esito, non avrà effetti giuridici immediati sulla legge 194, ma avrà rilevanza dal punto di vista politico e giurisprudenziale. In caso di accoglimento del reclamo, infatti, più forti saranno le ragioni di coloro che intendono limitare il diritto all’obiezione di coscienza in materia di aborto, e soprattutto legittimare i bandi di assunzione discriminatori nei confronti dei medici obiettori. Non mancherebbero certamente, in quel caso, giudici amministrativi disposti a tener conto del pronunciamento di Strasburgo.
Quello che, invece, appare davvero singolare è il fatto che un sindacato si trovi a combattere contro un diritto riconosciuto dalla legge ai lavoratori (medici obiettori) e proponga di discriminarli attraverso la soluzione dei bandi di assunzione riservati a medici non obiettori. Uno strano modo didifendere i diritti dei lavoratori.
Gianfranco Amato
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Fonte: "Avvenire" del 6 giugno 2013