IMPUGNATO IL DECALOGO UNAR PER LA STAMPA

 

COMUNICATO STAMPA 14-2014

Riccardo Cascioli, direttore della Nuova Bussola Quotidiana, avvalendosi dell’assistenza legale dei Giuristi per la Vita ha impugnato presso il T.A.R. del Lazio il famigerato decalogo dell’UNAR «per una rispettosa informazione delle persone LGBT». E' il primo – e per ora unico – giornalista che abbia sfidato la dittatura del politicamente corretto.
I Giuristi per la Vita ricordano che l’atto impugnato è quel documento che, dopo aver sancito l’obbligo di usare sempre l’acronimo LGBT:

  1.  impone di non confondere il «sesso biologico», che riguarda i cromosomi e la fisiologia degli apparati genitali, con l’identità di genere, che viene definita come «il senso intimo, profondo e soggettivo di appartenenza alle categorie sociali e culturali di uomo e di donna, ovvero ciò che permette a un individuo di dire “io sono un uomo, io sono una donna”, indipendentemente dal sesso anatomico di nascita»;
  2. vieta di usare espressioni quali «famiglia naturale» o «famiglia tradizionale», o espressioni quali «famiglia gay» o «famiglia omosessuale» per intendere il nucleo in cui i genitori sono dello stesso sesso, dovendosi preferire la locuzione «famiglie omogenitoriali», oppure «famiglie con due papà, due mamme, ritenendo «meglio ancora parlare, semplicemente, di famiglie» ed evitare di contrapporre tali realtà al concetto di «famiglie tradizionali»;
  3. vieta, in tema di adozioni, di sostenere che il bambino «ha bisogno di una figura maschile e di una femminile come condizione fondamentale per la completezza dell’equilibrio psicologico» (il giornalista che sostenesse questa tesi si renderebbe responsabile della propagazione di un «luogo comune», smentito dalla «letteratura scientifica»);
  4. vieta di parlare di «utero in affitto», considerandola un’«espressione «dispregiativa», che va sostituita con l’espressione «gestazione di sostegno»;
  5. impone di superare l’istituzione di un contraddittorio quando si parla di tematiche LGBT nei giornali e nelle televisioni, nel senso che «se c'è chi difende i diritti delle persone LGBT» non è necessario che si dia voce a chi è contrario;
  6. invita anche i fotografi ad evitare di riprendere immagini di persone «luccicanti e svestite» durante i servizi sui “gay pride”.

Questi i due principali motivi del ricorso al T.A.R. Lazio proposto da Riccardo Cascioli, che è stato notificato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, al Dipartimento per le Pari Opportunità e all’Ufficio Nazionale Antidiscriminazione Razziale:

 

  1. violazione del diritto alla libertà di espressione e del pluralismo informativo e violazione degli articoli 13 e 21 della Costituzione;
  2. difetto di competenza, violazione della riserva di legge per quel che concerne le restrizioni alla libertà personale, eccesso di potere, violazione dello Stato di Diritto, violazione degli articoli 13 e 117 della Costituzione, per contrasto con l’art. 10 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, violazione dell’art.2, Legge 3 febbraio 1963, n.69.

I Giuristi per la Vita ricordano, peraltro, che l’ultimo precedente relativo ad una direttiva del governo italiano indirizzata ai giornalisti in cui si specificava cosa scrivere e come scrivere toccando alcuni temi, risale a settant’anni fa. Bisogna, infatti, rievocare le famigerate “veline”, ovvero i fogli d'ordine (redatti appunto su carta velina) contenenti le disposizioni che il regime fascista impartiva alla stampa quotidiana e periodica, che cominciarono a circolare dal 1935 e che divennero sempre più pressanti verso i giornalisti dopo l’istituzione del Ministero della Cultura Popolare. Non pare proprio un precedente particolarmente edificante.

IL PRESIDENTE
Avv. Gianfranco Amato

 

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