IL "DIRITTO AL FIGLIO" CAPOVOLGE I PRINCÌPI COSTITUZIONALI
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- Pubblicato Mercoledì, 16 Aprile 2014 23:32
La vicenda dello scambio di embrioni all’ospedale Pertini di Roma ha aperto il vaso di Pandora. I primi ad accorgersene sono i giuristi. Quello che è accaduto infatti non integra nessun reato, perché la legge penale non prevede nulla in materia. La legge civile, invece, non dice nulla circa l’eventualità che, una volta nati i gemelli, il padre biologico intenda rivendicarne la paternità, o che il padre ingannato voglia disconoscere il figlio che non è a lui geneticamente collegato con il DNA. Si aprono scenari tanto inediti quanto sconfortanti.
Durante un programma radiofonico, il conduttore di una trasmissione che trattava della vicenda del Pertini, si è spinto ad ipotizzare una sorta di sabotaggio. Poiché non esistono precedenti al mondo, e quello italiano è il primo ed unico caso – questa la tesi del conduttore – tutta la vicenda non si sottrae al sospetto di un’azione deliberata per screditare il procedimento di fecondazione artificiale, visto il dibattito in corso. Una perfida manina incaricata dalla lobby clericale e oscurantista del mondo pro-life legato al Vaticano. A parte la risibilità della tesi, sono i fatti a sbugiardare il fantasioso conduttore.
Chi si occupa di bioetica sa che non sono infrequenti episodi come quello accaduto al Pertini, anche se non sempre vengono facilmente riconosciuti. In alcuni casi l’errore si rende evidente ex se, come è avvenuto nel primo incidente di questo tipo registrato in Gran Bretagna il 15 luglio del 2002, quando una donna bianca ha partorito due gemellini di colore nero. In altri casi, invece, i responsabili delle cliniche tentano di evitare lo scandalo.
IL MATRIMONIO GAY? I MAGISTRATI LO IMPONGONO
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- Pubblicato Sabato, 12 Aprile 2014 15:36
di Gianfranco Amato
A Grosseto, il matrimonio gay è stato riconosciuto dal Comune. Per ordine del tribunale, le nozze celebrate a New York, nel 2012, con rito civile fra due italiani, sono state trascritte nel registro di stato civile della città toscana. Secondo il giudice, nel codice civile «non è individuabile alcun riferimento al sesso in relazione alle condizioni necessarie» al matrimonio. Protagonisti della storia sono Giuseppe Chigiotti e Stefano Bucci, un architetto e un giornalista. Si tratta del primo caso in Italia.
Qualcuno un giorno ricorderà il tempo in cui l’Italia era una repubblica parlamentare. Prima, cioè, della sua trasformazione in repubblica giudiziaria. Prima della mutazione genetica istituzionale avvenuta attraverso Il potere dei magistrati-legislatori. Sintomatici, in particolare, i recenti interventi giurisprudenziali capaci persino di ribaltare la prospettiva antropologica che sottendeva alcuni provvedimenti legislativi approvati da un parlamento che ingenuamente si riteneva investito del potere di legiferare, in virtù del mandato popolare conferitogli attraverso libere e democratiche elezioni.
È stato, ad esempio, il Tribunale per i minorenni di Bologna a disporre l’affidamento di una minore di tre anni ad una coppia convivente di uomini omosessuali, ignorando del tutto il fatto che tale anomala coppia non può considerarsi un «ambiente familiare idoneo» ai sensi dell’art. 2, primo comma, della Legge 4 maggio 1983, n. 184, in grado di assicurare al minore affidato «il mantenimento, l’educazione, l’istruzione e le relazioni affettive di cui egli ha bisogno». Anche in questo caso non conta la ratio della legge, né tantomeno la volontà del legislatore, ma solo la Weltanschauung personale del singolo magistrato chiamato ad applicarla.
OMOFOBIA, IL GOVERNO MANDA SCALFAROTTO
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- Pubblicato Sabato, 12 Aprile 2014 15:31
di Gianfranco Amato
E’ cominciato in anticipo il dibattito in Commissione Giustizia del Senato sugli emendamenti al disegno di legge Scalfarotto in tema di omofobia. La decisione di anticipare i tempi ha creato le prime scintille. Il senatore Carlo Giovanardi, infatti, ha esordito contestando tale decisione, in quanto nella riunione dell'Ufficio di Presidenza per la programmazione dei lavori si era convenuto di destinare alla votazione di tali proposte la seduta già convocata per mercoledì, 9 aprile. Lo stesso Giovanardi, poi, pur apprezzando la presenza del sottosegretario Scalfarotto, ha lamentato l’assenza di un sottosegretario o Viceministro che potesse esprimere l’orientamento del Dicastero della giustizia, ed ha, infine, precisato di essere consapevole che il provvedimento in esame non deve e non può essere considerato solo dalla prospettiva delle implicazioni di politica giudiziaria, giacché esso implica questioni di particolare rilievo, che sempre si pongono quando si tenta di introdurre reati di opinione nel sistema della repressione penale.
Si è, poi, passati alla votazione delle proposte emendative, riferite all’articolo 1 del disegno di legge, sulle quali erano già stati espressi i pareri da parte del relatore e del rappresentante del Governo. Quest’ultimo, in particolare, ha ribadito di rimettersi alla Commissione su tutte le proposte emendative. Ed ecco il resoconto della seduta:
"Per dichiarazione di voto sull’emendamento 1.1 prende la parola il senatore Giovanardi, il quale rileva a nome del proprio Gruppo che l’emendamento è volto a introdurre definizioni di omofobia e transfobia tanto vaghe da rendere quanto mai evidente l’inopportunità di proseguire nell’esame di un disegno di legge che, se approvato, si risolverebbe nell’introduzione di una tutela penale rafforzata e particolarmente odiosa contro l’espressione di alcuni orientamenti di pensiero. Dal momento che l’emendamento 1.1 svolge l’implicita funzione di porre in piena luce le contraddizioni insite del disegno di legge nel suo complesso, lo stesso senatore Giovanardi annuncia il proprio orientamento contrario. Verificata la presenza del numero legale, l’emendamento 1.1 è posto in votazione e risulta non approvato.
L’ITALIA È ANCORA UNA REPUBBLICA PARLAMENTARE?
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- Pubblicato Sabato, 12 Aprile 2014 15:23
di Gianfranco Amato
La sentenza della Corte costituzionale ha demolito uno degli ultimi “paletti” della Legge 40/2004: il divieto della procreazione medicalmente assistita eterologa. Questa pronuncia pone, innanzitutto, un problema di politica legislativa, se si considera che nei dieci anni di vigenza della Legge 40, questa ha subito più di trenta interventi della magistratura che ne hanno radicalmente modificato la stessa ratio. Il risultato di questi interventi ha capovolto la prospettiva antropologica che aveva ispirato la legge approvata dalle Camere. E qui si pone un inquietante interrogativo su quale sia l’organo istituzionale deputato a legiferare nel nostro Paese: il Parlamento democraticamente eletto o la Corte costituzionale? In gioco, come si vede, vi è lo stesso concetto di democrazia.
Nel merito della vicenda, la disposizione normativa dichiarata incostituzionale, aveva, in realtà, due funzioni importanti. Primo, salvaguardava il diritto del nascituro a conoscere le proprie origini, al fine di tutelarne l’identità personale, oltre che garantirne la tutela sanitaria e sociale. Secondo, evitava il lucroso commercio di gameti che va sotto il falso nome di donazione ed il conseguente squallido sfruttamento delle donne. I cosiddetti “paletti” della Legge 40 avevano, in realtà, il merito di porre un freno alla moltiplicazione delle figure genitoriali con le conseguenti ripercussioni negative sull’identificazione bio-psichica del nascituro e sulla stabilità del legame di coppia. La responsabilità procreativa della coppia uomo-donna è la migliore risposta alla protezione familiare e sociale, quale condizione della stabilità del nascituro.
La Consulta: illegittimo il divieto alla fecondazione eterologa. Giuristi per la Vita: ultima picconata alla Legge 40
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- Pubblicato Mercoledì, 09 Aprile 2014 15:49
E' illegittimo il divieto alla fecondazione eterologa, ossia praticata con gameti di un donatore esterno alla coppia. Lo ha sancito la Corte Costituzionale italiana, bocciando così i punti della legge 40, in materia di procreazione assistita, che vietavano di praticare l'eterologa in Italia. Paolo Ondarza ha raccolto il commento di Gianfranco Amato, presidente dei Giuristi per la vita:
R: - E’ una pronuncia grave! La norma che è stata dichiarata costituzionalmente illegittima, in realtà - anche se non è una legge cattolica - salvaguardava i nascituri e il loro diritto a conoscere le proprie origini, anche al fine di tutelare l’identità personale, oltre che garantirne la tutela sanitaria e sociale, da una parte; e, dall’altra, evitava il lucroso commercio di gameti che va sotto il falso nome di donazione e il conseguente sfruttamento delle donne.
D. - La Legge 40 - il cui tema è assolutamente delicato e complesso - ha visto da sempre attorno a sé un dibattito acceso su questioni etiche, sociali e anche ideologiche…
R. - Sì! Se noi consideriamo che la Legge 40, nei suoi 10 anni, ha subito 31 interventi della Corte Costituzionale che hanno completamente stravolto la prospettiva antropologica che stava alla base della ratio, noi ci dobbiamo chiedere chi legifera in questo Paese: il Parlamento democraticamente eletto o la Corte Costituzionale?
D. - Presidente Amato, la pronuncia - secondo chi l’ha sostenuta e l’ha votata - fa riferimento a una disparità che si sarebbe venuta a creare tra le coppie che accedono all’omologa, consentita dalla Legge 40, e quelle che si vedono negate il ricorso all’eterologa…
R. - Non è un approccio corretto, perché la fecondazione assistita, medicalmente assistita secondo la prospettiva della Legge 40, aveva dei criteri e dei paletti molto precisi, che ponevano un freno alla moltiplicazione delle figure genitoriali, con tutte le conseguenti ripercussioni negative, anche sulla stessa identificazione biospichica del nascituro. Era tutta improntata ad una responsabilità procreativa di una coppia uomo-donna, che è la condizione minima per la stabilità del nascituro! Per cui c’erano una serie di paletti: persone di sesso diverso, conviventi, non fertili... Purtroppo sono saltati!
D. - Neanche il tema della fuga - chiamiamola così - all’estero di tante coppie, in quei Paesi in cui l’eterologa è legale, può essere in qualche modo una spiegazione o una motivazione a suffragio di questa pronuncia?
R. - Assolutamente no! Che cosa significa la fuga all’estero? Una cosa che oggettivamente è ingiusta e vietata, il fatto che in altri Paesi sia consentita… No, questo non è un ragionamento che tiene! Se una norma è ingiusta, lo è e a prescindere dal fatto che in altri Paesi sia consentita.
D. - A questo punto la Legge 40 che validità ha?
R. - Ce lo chiediamo! Questa è l’ultima picconata, probabilmente la più grave, ad una legge che non è più quella che è stata approvata dal parlamento.
GENDER/SCUOLA: IL MIUR BLOCCA GLI OPUSCOLI UNAR. CHE SI SCUSA
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- Pubblicato Lunedì, 07 Aprile 2014 09:33
Paolo Ferrario
Una circolare del Ministero dell’Istruzione ha bloccato la diffusione nelle classi degli opuscoli “Educare alla diversità a scuola”, realizzati dall’Istituto A. T. Beck su mandato dell’Unar (che li ha pagati 24.200 euro). Lo ha comunicato ufficialmente ieri mattina il direttore generale del Dipartimento per l’Istruzione del Miur, Giovanna Boda, incontrando il Fonags, il Forum nazionale delle associazioni dei genitori della scuola. Lo stesso dirigente ha anche dato conto di una lettera ufficiale di scuse inviata al Miur dall’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali, per aver portato avanti il progetto senza condividerlo con il Ministero, come denunciato tempo fa dal sottosegretario all’Istruzione, Gabriele Toccafondi.
La diffusione degli opuscoli aveva provocato la forte reazione delle associazioni dei genitori, a causa dei contenuti fortemente orientati verso l’ideologia gender e Lgbt (lesbiche gay, bisessuali e transessuali). E non poteva essere altrimenti, visto che, come ha ammesso alla Camera il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Sesa Amici, in risposta a un’interpellanza del deputato di Per l’Italia, Gian Luigi Gigli, la diffusione degli opuscoli si collocava «nell’ambito» delle azioni previste dalla Strategia nazionale per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere, concordata dallo stesso Unar unicamente con 29 associazioni Lgbt e senza il coinvolgimento del Forum nazionale delle associazioni familiari, che pure rappresenta oltre tre milioni di famiglie italiane.