DISCRIMINAZIONE DEI GAY? A VOLTE SI DEVE
di Tommaso Scandroglio
Come è noto il Papa, di ritorno dal Brasile e accennando al Catechismo della Chiesa Cattolica, ha ricordato che gli omosessuali non devono essere emarginati. Perché il Catechismo chiede che gli omosessuali non siano discriminati? Perché evidentemente considera il loro orientamento e relative condotte come possibili motivi di emarginazione. E perché considera il loro orientamento come possibile motivo di emarginazione? Perché questo è intrinsecamente disordinato. “Questa inclinazione, oggettivamente disordinata, costituisce per la maggior parte di loro una prova. Perciò devono essere accolti con rispetto, compassione, delicatezza” (2358).
Il comando di non discriminare quindi sta a significare, e prova a contrario, che l’omosessualità è contro natura. Infatti la natura dell’uomo è un ordo, cioè un insieme di inclinazioni che tendono verso alcuni fini. Il disordine intrinseco di questa tendenza significa che, al di là delle motivazioni soggettive e circostanze, l’orientamento in sé contraddice l’ordo naturale, che nello specifico porta il maschio ad essere attratto dalla donna e viceversa. Il non discriminare è per il Catechismo il primo passo per aiutare queste persone a vincersi.
Di contro perché il fronte gay chiede di non essere discriminato? Perché considera l’omosessualità un orientamento naturale. Quindi per il Catechismo un orientamento contro natura comprensibilmente – ma non giustificatamente – potrebbe essere fonte di isolamento per l’omosessuale. Per i gay la discriminazione invece non ha ragion di esistere, esprime solo un atteggiamento di arretratezza culturale, perché essere omosessuale è cosa buona. Dunque il significato di “non discriminare” è profondamente diverso per il cattolico e l’uomo di buona volontà da quanto intende invece il fronte omosessualista. Il cattolico accoglie e quindi non discrimina l’omosessuale perché lo vuole sostenere nel cambiamento. Il gay chiede di essere accolto ma per rimanere quello che è.
Un’altra domanda: mai discriminare? Il Catechismo afferma: “A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione” (2358). Ergo ci può essere una giusta discriminazione. Infatti la Congregazione per la Dottrina della Fede nel 1992 ha emanato il documento “Alcune considerazioni concernenti la risposta a proposte di legge sulla non discriminazione delle persone omosessuali”, in cui si legge: «Vi sono ambiti nei quali non è ingiusta discriminazione tener conto della tendenza sessuale: per esempio nella collocazione di bambini per adozione o affido, nell’assunzione di insegnanti o allenatori di atletica, e nel servizio militare» (11). Questo perché la tendenza omosessuale può essere in contrasto oggettivo con il bene dei più piccoli o degli scolari privi ancora di adeguati filtri critici o di coloro i quali, come i militari, vivono in una condizione di forte subordinazione ai superiori. In questa prospettiva “discriminare” recupera la sua accezione originaria, cioè esprime l’azione di distinguere, rilevare differenze tra distinti soggetti perché oggettivamente differenti tra loro.
E poi il documento aggiunge in modo lucido: “Le persone omosessuali, in quanto persone umane, hanno gli stessi diritti di tutte le altre persone incluso il diritto di non essere trattate in una maniera che offende la loro dignità personale (cf. n. 10). Fra gli altri diritti, tutte le persone hanno il diritto al lavoro, all'abitazione, ecc. Nondimeno questi diritti non sono assoluti. Essi possono essere legittimamente limitati a motivo di un comportamento esterno obiettivamente disordinato. Ciò è talvolta non solo lecito ma obbligatorio, e inoltre si imporrà non solo nel caso di comportamento colpevole ma anche nel caso di azioni di persone fisicamente o mentalmente malate. Così è accettato che lo stato possa restringere l'esercizio di diritti, per esempio, nel caso di persone contagiose o mentalmente malate, allo scopo di proteggere il bene comune”. Il sillogismo è di palmare evidenza: se lo Stato deve tutelare il bene comune e qualora le condotte omosessuali possano minare questo bene comune, ne consegue che lo Stato può e a volte deve intervenire per impedire che venga ferito il bene collettivo. Tale intervento non configurerebbe un atto discriminatorio. A margine annotiamo: l’analogia con le “persone contagiose o mentalmente malate” praticata in relazione agli omosessuali di certo oggi non sarebbe fatta propria da nessun politico o uomo di cultura “cattolico” perché apparirebbe quanto mai oltraggiosa. Ma il Magistero sa che la verità può offendere, ma nonostante questo la proclama.
La Chiesa, in merito a questo dibattito sulla discriminazione degli omosessuali, ci aveva visto lungo. Infatti nella “Lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica sulla cura pastorale delle persone omosessuali” pubblicata nell’ormai lontano 1986 dalla Congregazione per la Dottrina della Fede si legge: “Una delle tattiche usate è quella di affermare, con toni di protesta, che qualsiasi critica o riserva nei confronti delle persone omosessuali, delle loro attività e del loro stile di vita, è semplicemente una forma di ingiusta discriminazione. È pertanto in atto in alcune nazioni un vero e proprio tentativo di manipolare la Chiesa conquistandosi il sostegno, spesso in buona fede, dei suoi Pastori, nello sforzo volto a cambiare le norme della legislazione civile. Il fine di tale azione è conformare questa legislazione alla concezione propria di questi gruppi di pressione, secondo cui omosessualità è almeno una realtà perfettamente innocua, se non totalmente buona” (9). Ventisette anni fa la Congregazione per la Dottrina della Fede aveva preconizzato quello che sta accadendo oggi in Italia.
Addirittura aveva previsto che il grimaldello per far passare la cultura gay stava nell’abbinare l’omosessualità alla razza e all’etnia, abbinamento però indebito. Infatti nel già citato documento del '92 si esplicita che la discriminazione dell’omosessuale comunque non può essere paragonata alla discriminazione per motivi religiosi, di razza, etc (ratio della legge Mancino che si vorrebbe estendere anche alla materia dell’omosessualità): “La «tendenza sessuale» non costituisce una qualità paragonabile alla razza, all’origine etnica, ecc. rispetto alla nondiscriminazione. Diversamente da queste, la tendenza omosessuale è un disordine oggettivo (cf. Lettera, n. 3) e richiama una preoccupazione morale” (10). Il concetto è chiaro: nel primo caso è sempre ingiusto discriminare perché razza, etnia etc. sono condizioni naturali, normali dell’essere umano. Nel secondo caso come abbiamo visto a volte si può e si deve discriminare. Da qui l’impossibilità e dunque l’irrazionalità di accorpare in medesimo testo legislativo atti discriminatori che derivano da due genus diversi. Insomma non c’entra nulla la discriminazione dell’omosessuale con la discriminazione della persona di colore.
La Congregazione per la Dottrina della Fede poi spiega che le leggi anti-omofobia in realtà sono solo strumenti per indurre la collettività a credere che l’omosessualità è condizione normale che il diritto deve tutelare: “Includere la «tendenza omosessuale» fra le considerazioni sulla base delle quali è illegale discriminare può facilmente portare a ritenere l'omosessualità quale fonte positiva di diritti umani, ad esempio, in riferimento alla cosiddetta «affirmative action» o trattamento preferenziale nelle pratiche di assunzione. Ciò è tanto più deleterio dal momento che non vi è un diritto all'omosessualità (cf n. 10) che pertanto non dovrebbe costituire la base per rivendicazioni giudiziali. Il passaggio dal riconoscimento dell'omosessualità come fattore in base al quale è illegale discriminare può portare facilmente, se non automaticamente, alla protezione legislativa e alla promozione dell'omosessualità. L'omosessualità di una persona sarebbe invocata in opposizione a un’asserita discriminazione e così l'esercizio dei diritti sarebbe difeso precisamente attraverso l'affermazione della condizione omosessuale invece che nei termini di una violazione di diritti umani fondamentali” (13).
Le leggi sulla discriminazione poi creerebbero una casta omosessuale privilegiata che vanterebbe corsie preferenziali in molti ambiti del vivere civile: “Come influenzeranno [queste leggi] l'adozione o l'affido? Costituiranno una difesa degli atti omosessuali, pubblici o privati? Conferiranno uno stato equivalente a quello di una famiglia a unioni omosessuali, per esempio, a riguardo dell'edilizia pubblica o dando al partner omosessuale vantaggi contrattuali che potrebbero includere elementi come partecipazione della «famiglia» nelle indennità di salute prestate a chi lavora?” (15).
Da ultimo la Congregazione per la Dottrina della Fede dà la scossa alle varie conferenze episcopali: “Infine, laddove una questione di bene comune è in gioco, non è opportuno che le Autorità ecclesiali sostengano o rimangano neutrali davanti a una legislazione negativa anche se concede delle eccezioni alle organizzazioni e alle istituzioni della Chiesa” (16). Quindi la chiesa locale non può tacere. Inoltre questo invito è quanto mai attuale in seno al dibattito sugli emendamenti migliorativi alla proposta di legge Scalfarotto. Non basta – dice il documento citato – portarsi a casa il minimo sindacale: che la libertà di pensiero e di espressione religiosa non sia toccata da una legge sull’omofobia. Dato che è una legge iniqua che fa male a tutti – credenti e non – occorre scendere in campo per contrastarla nella sua totalità. La Chiesa chiede dunque ai pastori di uscire dall’omertà e di non combattere battaglie di retroguardia.
Fonte: http://www.lanuovabq.it/it/articoli-discriminazione-dei-gay-a-volte-si-deve-7000.htm