SOLO IL DIVORZIO GAY SVELERÀ TUTTE LE MENZOGNE SUL DDL CIRINNÀ
- Dettagli
- Pubblicato Martedì, 26 Gennaio 2016 10:16
di Massimiliano Fiorin
E se cominciassimo a pensare anche al divorzio gay? Nonostante il dibattito in corso sul disegno di legge Cirinnà, dello scioglimento delle “unioni civili” non si parla quasi mai. L’argomento, che di per sé è spiacevole, in questo caso sembra essere pure inopportuno.
Del resto, quando l’amore reclama solo diritti, si fa assai presto a scordare i doveri. Eppure, l’esperienza di milioni di coniugi separati insegna che, quando una coppia si divide, c’è sempre un conto assai salato che qualcuno finisce per dover pagare.
Gli italiani ormai conoscono bene le sofferenze e le ingiustizie che si verificano in occasione del naufragio di un matrimonio. Anche per questo motivo, probabilmente, le coppie eterosessuali si sposano sempre di meno, e l’Istat certifica che il “tasso di nuzialità” nel nostro paese è in caduta verticale.
Tuttavia il disegno di legge in esame, secondo lo spirito del tempo, non ci fa troppo caso. Tanto che, nella festa dei “nuovi diritti” che stanno per essere riconosciuti, la fine dell’amore sembra essere solo una formalità.
Ovviamente, se fossero sopraggiunti figli naturali o adottivi, i loro diritti saranno tutelati come già avviene per le unioni di fatto, vista la parificazione ai figli nati nel matrimonio. Detto così, sembrerebbe tutto semplice.
Ma ci sarà da ridere – detto con ironia – quando si dovesse discutere dell’affidamento dei figli di una coppia omosessuale che avesse praticato il sospirato diritto alla stepchild adoption. Infatti, a quel punto verrebbe finalmente alla luce la menzogna che stanno cercando di propinarci, e sarà chiarissimo che questo tipo di adozioni non è mai in funzione del diritto dei bambini ad avere i genitori. Bensì, semmai, il contrario.
Provate, anche voi che non siete esperti del settore, a immaginarvi cosa potrà accadere. Il genitore naturale che, dopo la rottura dell’unione civile, volesse escludere l’ex partner dalla vita del figlio – come del resto avviene molto spesso tra le coppie eterosessuali sposate e non, ed è alla base della disperazione di legioni di padri separati – in caso di stepchild adoption omosessuale avrà ottime ragioni per farlo.
PORTARE LA #CROCE. E INDOSSARLA
- Dettagli
- Pubblicato Giovedì, 14 Gennaio 2016 23:10
«Voi cristiani d’Europa a volte vi vergognate perfino della vostra fede – ha detto monsignor Antoine Audo, eparca d’Egitto – e questo ci fa soffrire molto. Per noi essere cristiani, difendere la nostra fede anche davanti a chi ci perseguita è motivo d’onore e di orgoglio. Il vostro comportamento a volte ci sorprende e ci rattrista». Un impegno civile e politico non si ferma lì, ma certo è un inizio.
di Gianfranco Amato
Ho deciso che d’ora in poi porterò al collo un crocifisso ben visibile. Cinque le ragioni di questa scelta.
1) Porterò il crocifisso per ricordare a tutti, e in primis a me stesso, il vergognoso silenzio sui più di cento milioni di cristiani perseguitati nel mondo. Sono cifre da genocidio. Uso non a caso il termine vergogna. Lo scorso 26 dicembre 2015, infatti, nella solennità di Santo Stefano, primo martire della Chiesa, Papa Francesco ha invitato a pregare «per i cristiani che sono perseguitati, spesso con il silenzio vergognoso di tanti». Non è la prima volta che il Santo Padre interviene sul tema. Durante una sua omelia tenuta a Santa Marta il 7 settembre 2015, ad esempio, è tornato ha parlare delle persecuzioni che subiscono i cristiani, ancora oggi «forse più che nei primi tempi», ricordando che sono «perseguitati, uccisi, cacciati via, spogliati solo per essere cristiani». Queste le sue parole: «Cari fratelli e sorelle, non c’è cristianesimo senza persecuzione! Ricordatevi l’ultima delle Beatitudini: quando vi porteranno nelle sinagoghe, vi perseguiteranno, vi insulteranno, questo è il destino del cristiano. E oggi, davanti a questo fatto che accade nel mondo, col silenzio complice di tante potenze che potevano fermarlo, siamo davanti a questo destino cristiano. Andare sulla stessa strada di Gesù». Il primato tra i Paesi dove la croce è meno tollerata spetta Corea del nord, mentre si aggrava la situazione in Africa, in Indonesia, nel Medio Oriente e persino nella fascia del Maghreb, dopo il gelo portato dalle “primavere arabe”. Neppure nella civilissima Europa la situazione appare idilliaca. Tra l’altro, lo scorso 16 novembre 2015, L’Osce, l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa, ha pubblicato il nuovo Rapporto annuale sui crimini d’odio, ossia reati fondati su pregiudizio nei confronti di categorie o gruppi di persone. I dati ufficiali relativi al nostro Paese, con riferimento al 2014, certificano l’esistenza di ben 596 crimini d’odio: 413 casi di razzismo e xenofobia, 153 casi di pregiudizi contro cristiani e appartenenti ad altre confessioni religiose, 27 casi di pregiudizi contro persone LGBT (Lesbiche, Gay, Bisessuali e Transgender), 3 casi di pregiudizi contro persone con disabilità e altri gruppi. La religione è la seconda causa, dopo razzismo e xenofobia, di reati basati su pregiudizio in Italia.
SE ANCHE LA CROCE ROSSA SI METTE A SPARARE
- Dettagli
- Pubblicato Mercoledì, 13 Gennaio 2016 14:32
Caro Direttore,
sparare contro la Croce Rossa è un’espressione idiomatica con cui si indica uno degli atti più infami, ignobili e spregevoli che un essere umano possa compiere: sparare contro soccorritori disarmati e innocui impegnati a recuperare i feriti sul campo e salvare vite umane. In senso figurato, tale espressione è usata per indicare un’azione vile contro persone che non sono in grado di difendersi.
Ecco perché si rimane trasecolati e senza parole quando, invece, è proprio la Croce Rossa a sparare. Ovviamente in senso metaforico. E’ quanto accaduto a Lanciano il 5 gennaio 2016, tre giorni prima del convegno organizzato dalla Diocesi di Lanciano-Ortona su teoria gender e famiglia, che vedeva come relatori il sottoscritto avvocato Gianfranco Amato, Presidente dei Giuristi per la Vita, e lo stesso Arcivescovo, mons. Emidio Cipollone, una delle persone più buone, nel senso alto e nobile del termine, che io abbia mai conosciuto. Un esempio davvero edificante di mansuetudo evangelica.
Ebbene, a proposito dell’iniziativa diocesana, il Comitato locale della Croce Rossa di Lanciano ha ritenuto di dovere emanare un comunicato che inizia in questi termini: «Il delegato tecnico d’Area 4 del Comitato locale di Lanciano per la disseminazione del diritto internazionale umanitario, dei principi fondamentali e dei valori umanitari, nella persona dell’avv. Andrea Cerrone ed il delegato tecnico d’Area 5 del Comitato locale di Lanciano per la promozione dello sviluppo dei giovani e l’educazione alla cittadinanza attiva, nella persona del dott. Luca Iezzi deplorano la comparsa, per le vie della Città di Lanciano, di un manifesto oltraggioso della dignità dell’essere umano. La composizione grafica di tale manifesto, disegnato incredibilmente con lo stemma araldico dell’Arcivescovo di Lanciano-Ortona, ingenera confusione ed alimenta la discriminazione nei confronti delle persone transessuali ed omosessuali».
Il manifesto ritenuto «oltraggioso per la dignità dell’essere umano» e «discriminatorio nei confronti delle persone transessuali ed omosessuali», in realtà, oltre a contenere l’immagine di una famiglia composta da padre, madre e due figli, conteneva le seguenti espressioni: «NO gender, SI famiglia; maschio e femmina, società naturale semplicemente famiglia - 8 gennaio 2016, Officina Storica Sangritana, Piazzale della Stazione, Lanciano, ore 17.00, interverrà: avv. Gianfranco Amato Presidente dei Giuristi per la Vita; introduce: Mons. Emidio Cipollone, Arcivescovo Diocesi di Lanciano-Ortona; modera: Alessandro Di Matteo, giornalista. Mamma + Papà, niente di diverso, donna, figlia, nonna, uomo, figlio, nonno. La cittadinanza è caldamente invitata a partecipare. Info: Maschio e Femmina si, gender no – Comitato Lanciano»
MOTUS IN FINE VELOCIOR (Quando si scatena l’odio contro il Natale e i cattolici)
- Dettagli
- Pubblicato Sabato, 09 Gennaio 2016 16:19
di Gianfranco Amato
Di fronte a questi atti sacrileghi, ci sarà qualcuno che nel mondo cattolico e tra i sensibili paladini di ogni forma di libertà che prenderà una chiara posizione? Molti cattolici sono sempre più indignati per questa deriva totalitaria e distruttiva della libertà. E sconcertati di fronte a troppi silenzi.
Motus in fine velocior. Questa espressione aristotelica, con cui si usa indicare l’intensificarsi di un’azione verso la sua fine, rende perfettamente l’idea di ciò che sta avvenendo nell’attuale fase di decadimento della nostra società, e della crescente deriva cristianofobica. Assistiamo, infatti, ad un’accelerazione finale della parabola discendente che non può non preoccupare. Sei notizie giunte nell’arco di settantadue ore, dal 28 al 30 dicembre 2015, costituiscono un’ottima conferma di quanto asserisco.
La prima ad arrivare è la strabiliante notizia che da piazza Navona di Roma spariranno i presepi e le tradizionali bancarelle di dolciumi che hanno tradizionalmente caratterizzato quel luogo storico per tutto il periodo natalizio fino all’Epifania. Al loro posto i bambini romani quest’anno potranno gioire della presenza di bancarelle “laiche”, di varie organizzazioni onlus come la Croce Rossa, la mezzaluna islamica, Emergency, l’Unicef, Greenpeace e, dulcis in fundo, il Gay Center. Possiamo immaginare il tripudio di felicità dei bimbi romani. Anche nell’Urbe, quindi, trionfo del più becero politically correct, a discapito della tradizione e della cultura cristiana.
SE PER I GIUDICI L’ABORTO È SEMPRE UN DIRITTO
- Dettagli
- Pubblicato Sabato, 09 Gennaio 2016 16:09
Le Sezioni Unite della Cassazione sono il massimo organo giurisprudenziale del nostro Paese: quando sorge una questione importante e discussa di interpretazione di una legge, questo organo superiore viene chiamato a dire l'ultima parola sull'effettivo contenuto della norma, su ciò che l'ordinamento giuridico prevede, vieta e permette.
Nella causa decisa con la sentenza n. 25767 depositata ieri, i genitori di una bambina affetta da sindrome di Down avevano chiesto la condanna al risarcimento del danno dei sanitari e della struttura cui si erano rivolti, sostenendo che, dopo un esame con esito negativo eseguito al quarto mese di gravidanza per verificare se il feto fosse affetto da sindrome di Down, non erano seguiti altri approfondimenti benché i valori emersi non fossero corretti, cosicché la nascita non desiderata derivava da colpa dei medici. La domanda era stata presentata sia dalla madre per i danni che ella avrebbe subito, sia da entrambi i genitori a nome della figlia per quelli che la bambina avrebbe subito per il fatto di non essere stata abortita.
Le Sezioni Unite hanno respinto la domanda presentata a nome della bambina (sconfessando una precedente sentenza); hanno invece chiesto ulteriori approfondimenti con riferimento alla domanda di risarcimento dei danni presentata dalla madre. Ma una madre ha diritto al risarcimento del danno per la nascita indesiderata di un figlio con sindrome di down? L'affermazione delle Sezioni Unite civili della Cassazione pesa come un macigno: «Dopo il novantesimo giorno di gravidanza, la presenza delle condizioni ivi rigorosamente tipizzate non ha solo efficacia esimente da responsabilità penale, ma genera un vero e proprio diritto all'autodeterminazione della gestante di optare per l'interruzione della gravidanza»
RISPOSTA DEL CARDINAL CARLO CAFFARRA ARCIVESCOVO DI BOLOGNA ALL’AVVOCATO GIANFRANCO AMATO PRESIDENTE DEI GIURISTI PER LA VITA
- Dettagli
- Pubblicato Giovedì, 10 Dicembre 2015 11:22
Lectio magistralis del Cardinal Caffarra tenuta il 6 dicembre 2015 nell’ambito del seminario residenziale di studi sociali organizzato da “Vita è”
Eminenza, Lei ha parlato del rapporto fede-ragione, che è drammaticamente attuale oggi dove sembra che viviamo un paradosso per cui gli uomini di fede sono diventati gli ultimi difensori della ragione umana. A me interessava un altro rapporto: quello tra fede e cultura. Io ricordo, ero giovane, quando nel 1982 ascoltai Giovanni Paolo II, – credo fosse un suo discorso al M.E.I.C. –, fare questa affermazione: «una fede che non diventa cultura non è pienamente accolta, pienamente pensata, pienamente vissuta». Se ci vuole dire due parole su questo tema, penso che sia utile per tutti.
Risposta:
Perché la fede non diventa cultura? Cultura non significa evidentemente scrivere dei libri. Cultura vuol dire quello che i greci chiamerebbero l’ethos, la casa entro cui si vive secondo certe visioni del mondo, di Dio, delle cose, secondo certi criteri di valutazione morale, eccetera. Questa è la corretta definizione di cultura. Orbene, la fede non può non generare cultura in quanto non è un fatto privato. Non può non generare cultura, perché è il meridiano che attraversa tutti i paralleli. Tutte le grandi esperienze dell’umano quali il lavoro, l’amore tra un uomo e una donna, la società civile, l’esercizio del potere politico, insomma, tutte le grandi esperienze umane c’entrano con la fede. Ecco perché Giovanni Paolo II ha detto quelle parole: la fede non è un fatto privato. Siate ben vigilanti perché oggi vi è il grande tentativo di ridurre la fede al fatto privato. Questa tendenza è molto forte. Non accettatelo!